“Perturbante” è l’aggettivo che utilizza Alfred Springer, analizzando soprattutto il disegno “Étude pour La Leçon de guitare” (La lezione di chitarra) e il successivo dipinto. Vi si vede un’adolescente abbandonata di schiena in grembo a una giovane donna che con la mano destra le afferra i capelli sulla testa reclina e con la sinistra indugia sull’inguine nudo “quasi a pizzicare corde immaginarie”. La piccola, appare estenuata, una mano protesa al seno denudato e poco materno della maestra, l’altro braccio pendente a terra accanto alla chitarra negletta. “Morte agli ipocriti!” proclamava l’artista nel 1934, individuando nell’erotismo “l’unica possibilità di turbare ancora le marionette borghesi”.
Pierre Klossowski, fratello del pittore e assiduo studioso sia di Freud che del Marchese de Sade, sosteneva si trattasse di una “scena primaria”, quel tipo di esperienza infantile che segna per sempre l’individuo dal momento che “il bambino vive uno stato di desiderio permanente il cui soddisfacimento resta costantemente impedito”. La partecipazione alla vita amorosa della madre, che dopo la separazione dal marito si era accompagnata con il poeta austriaco Rainer Maria Rilke, aveva esposto i fratelli a “una variante del complesso di Edipo” e all’influsso della “costellazione libidica”. Balthus (1908-2001 al secolo Balthasar Kłossowski de Rola, di famiglia aristocratica di origine polacca) prendendo le distanze dai surrealisti (Dalì, De Chirico) aveva sostituito alla loro rappresentazione del sogno, le sue elaborate riflessioni sull’espressione dell’inconscio, mettendo in scena sofisticati “tableaux vivants”. Venne persino definito “Il Freud de la peinture”.
Ma tutto ciò è soltanto lo sfondo concettuale di una produzione pittorica spregiudicata, tra le più allettanti e originali del secolo scorso. Grazie a Fellini, che gli era amico, avevo conosciuto l’artista a Roma dove era stato direttore dell’Accademia di Francia (tra il ‘61 e ‘il 77), e con lui c’era la sua modella bambina (diventata ultima moglie) la giapponese Setzuco Ideta ritrovata all’inaugurazione e affabile sull’ala dei ricordi. Era ora che nella Capitale venisse allestita una personale di Balthus, tra le Scuderie e l’Accademia di Francia, che si protrarrà fino al 31 gennaio. Perderla sarebbe un delitto. L’evento è curato con devozione da Cécile Debray, conservatrice del Museo Nazionale d’Arte Moderna Centre Pompidou, che ha riunito più di duecento opere, le più appassionanti, dalle prime prove all’ultima tela restata incompiuta, attraverso le quali ci conduce per mano nel mistero creativo di una personalità complessa e affascinante, accusato persino di pornografia. In Italia già nel 1924, Balthus si era formato (ci sono le riproduzioni) alla scuola di Piero della Francesca e del Rinascimento toscano (“La lezione di chitarra” ripropone l’iconografia della Pietà), da cui aveva assorbito la chiarezza, la capacità narrativa, il senso della composizione. E anche l’atmosfera ferma, sospesa, che riusciva a riprodurre anche grazie all’impasto dei colori con sostanze casearie.
Nei suoi dipinti aleggia quella luce opaca, stagnante, che li immerge in una dimensione enigmatica, carica di sensualità e di perversione. Anzi di ‘crudeltà’, il termine che avrebbe preferito e che spiega la collaborazione alle scene del drammaturgo Antonin Artaud, l’amicizia con Bataille e Camus , la fascinazione per “L’áge d’or” di Luis Buñuel. Una visione per nulla indulgente del mondo.
Un percorso segnato che si annuncia fin dalle prime prove, nelle quali illustra il ricordo degli amori infantili di Kathy e Heathcliff, le torbide atmosfere di Cime Tempestose (“La toilette di Cathy); o ancora più evidente nei disegni ispirati a Lewis Carroll, il simbolismo onirico che circonda la ragazzina Alice, esposta con malizia senza freni: il feticismo degli oggetti, l’onnipresenza dei gatti, che ci riporta all’ amato Mitsou, King of Cats, al quale assegnerà nei quadri futuri, quale suo alterego, il ruolo di regista voyeur. Alice è l’antesignana delle pruriginose lolite che stanno per irrompere sulla tela.
Nel 1933 con La Rue (La strada, di grande formato195x240) Balthus inaugura il suo personalissimo stile: nella rappresentazione d’insieme, scriveva Artaud, “sfilano automi da sogno” con “scene di giochi infantili silenziosamente erotiche”. Quel silenzio solitario, palpitante di pulsioni, in cui vengono immerse le tante ‘puellae’ ritratte in corpo e anima nelle tele della piena maturità. Atteggiamenti, gesti, posizioni incandescenti, creature nude o vestite, sdraiate o in piedi, pennellate con spossante lentezza (Balthus impiegava tempi assai dilatati per finire i suoi quadri) capaci di svelare i turbamenti intrattenibili celati nel torpore dell’adolescenza: La Patience, La Reve, La Phalène, … Bambine da far tremare il cuore. “Fino a Le Peintre et son model” in cui l’autore solleva il sipario su se stesso; e al celeberrimo “La chambre”, del 1954, apice e sintesi folgorante di innumerevoli scene equivoche in cui sorprendiamo giovanette che si lavano, o giacciono abbandonate nella contemplazione, o indugiano a giocare con un gatto (sempre lui, il pittore!). Immancabilmente jeunes filles en fleur, appena sbocciate, in una resa priva di difese. Il dipinto de La Chambre, scrive Klossowsky, “si situa in quel punto limite dove ‘il non è successo niente’ e l’irrevocabile sono in equilibrio”. La fanciulla riversa nuda sul canapè è rivelata dal nano con la gonna che scosta la tenda davanti all’ampio finestrone, mentre il gatto sul tavolo contempla con deliziato stupore questo gesto illuminante. Non altro che l’arte, la pittura stessa.
Una mostra ci lascia ammirati, emozionati, rapiti; ma capita di rado che ci congedi con il cuore in tumulto. C’è tuttavia una spiegazione ed è ancora Springer a soccorrerci: “L’osservatore viene assorbito dall’artista nello spazio fantastico da lui creato. Il fascio di luce rivelatore si riversa anche sull’osservatore, stimolando in lui le tracce mnemoniche della seduzione originaria e del trauma. Egli si sente involontario protagonista nella stanza dove il Roi des Chats dirige lo spettacolo”.