Ancora una volta sotto accusa sono i giornalisti che hanno raccontato fatti oggettivi, come sono i testi delle intercettazioni di Mafia Capitale. Novantasei professionisti sono stati denunciati dagli avvocati della Camera penale di Roma per il loro racconto di uno degli scandali più grandi che abbia colpito la nostra città nel dopoguerra. Si tratta di 78 cronisti – la stragrande maggioranza lavora a Roma – e 18 direttori, in quanto responsabili delle testate che hanno pubblicato gli articoli. Mai successo. Una denuncia di queste proporzioni non ha precedenti. Ed è probabilmente un primato anche fra tutte le democrazie del mondo.
I cronisti sono stati denunciati, in blocco, ma non per aver omesso qualcosa. Non per aver manipolato la realtà. Al contrario sono accusati di aver scritto troppo ed aver violato così l’articolo 114 del codice di procedura penale. Ci sono grandi firme e interi servizi di cronaca giudiziaria dei quotidiani romani destinatari di questo esposto con la quale si vuole perseguire i giornalisti davanti ai Consigli di disciplina dell’Ordine professionale.
L’articolo 114 riguarda la pubblicazione degli atti processuali, e indica quando questa è autorizzata. Nel primo comma si vieta la pubblicazione quando gli atti sono coperti da segreto. Ma non è questo ad essere contestato ai 96 colleghi. È contestato invece di aver pubblicato atti non più coperti dal segreto quando però il procedimento è ancora nella fase delle indagini oppure – in fase di dibattimento – atti del fascicolo del pubblico ministero fino a quando non si arriva a sentenza. Si tratta di documenti disponibili agli avvocati che sono la più frequente fonte di informazione per i giornalisti. Il cronista, quindi, nel riportare quanto sa, non viene meno a un dovere morale (il segreto professionale) ma semplicemente divulga quanto ritiene sia importante che si sappia. Dovendo scegliere, nel caso di Mafia Capitale, tra sessantamila pagine di atti giudiziari. In certi casi è necessario proprio pubblicare integralmente alcuni passaggi (nella fattispecie, più che altro intercettazioni) per evitare che, decontestualizzati, non siano comprensibili o ne venga involontariamente alterato il senso. Eppure è proprio il fatto di aver pubblicato degli stralci in forma integrale che diventa paradossalmente un’aggravante. E nell’esposto, infatti, presentato dagli avvocati della Camera penale, si parla di «pubblicazione pedissequa in articoli di stampa di atti, o stralci degli stessi, di un procedimento penale in fase in indagine».
C’è quindi un nodo normativo che va sciolto. E preoccupa ancor di più in vista della preannunciata legge che imporrà un ulteriore giro di vite sulla pubblicazione delle intercettazioni. Il Sindacato cronisti romani, nell’esprimere solidarietà ai colleghi coinvolti, ritiene che a essere messi sotto accusa siano proprio la libertà e il dovere dei giornalisti di informare, e che sia necessario ristabilire le effettive responsabilità nella violazione della diffusione degli atti giudiziari. Il Sindacato cronisti ha sensibilità sui diritti dei cittadini alla riservatezza, ed è convinto che la segretezza degli atti giudiziari non vada abolita ma disciplinata. Ma tutto questo va normato in equilibrio con il diritto dei cittadini di essere informati, e con il dovere dei giornalisti di informare correttamente. Se intervento e censura ci deve essere nelle fattispecie previste dall’art. 114 del codice di procedura penale, che sia alla fonte. Al cronista resta il dovere di non manipolare, di non usare strumentalmente gli atti a un fine diverso di quello del servizio alla verità. Al cronista non si può chiedere di non pubblicare atti rilevanti che, come nel caso di Mafia Capitale, raccontano uno scandalo che purtroppo fa parte della storia della Roma di oggi.
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