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Mondadori – Rcs Libri, questo matrimonio non s’ha da fare

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Questo matrimonio non s’ha da fare. Vale a dire il connubio tra Mondadori ed Rcs Libri. E sì, perché non si tratta del coronamento di una delicata storia d’amore, bensì del più rude atto concentrativo nel settore editoriale che si ricordi. La televisione è stata dominata negli ultimi trent’anni dalle culture del trust, dal conflitto di interessi e dalla vacuità delle regole esistenti. Ma il libro era rimasto, almeno parzialmente, immune dallo tsumani. Povero –l’Associazione degli editori calcola in 2miliardi e 666 milioni di euro la forza economica del comparto nel 2014, con la riduzione dei lettori e le alterne sorti del digitale e dell’e-book- ma tutto sommato articolato e plurale. No. Il vento della conquista ha fatto capolino pure nell’ambito considerato di maggior pregio culturale. Ecco l’intesa “Mondazzoli”, al costo di 127,5 ml. Con tanto di sconto all’italiana (7,5 ml) per il temuto caso di una sonora multa dell’Autorità antitrust. Vale a dire: le norme si valutano ex post e non ex ante. La legge è debole, evidentemente.

Di cosa stiamo parlando? Della formazione di un gruppo che tocca circa il 40% di quota di mercato, con il 25% dell’universo scolastico. Un libro solo al comando: Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Sonzogno, Marsilio; Piemme, Sperling&Kupfer, Mondadori, Einaudi. Si salva solo Adelphi, di cui Roberto Calasso rientrerà in pieno possesso. Certamente, il pensiero almeno per un po’ non sarà proprio unico e tante piccole case editrici esistono eccome, a testimonianza della voglia di tutelare il lavoro intellettuale e la diversità culturale. Ma non per caso numerosi mesi fa Umberto Eco e un vasto numero di scrittori insorse con un appello e lo stesso ministro Franceschini si appalesò con dubbi e perplessità, pur attenuate dal mantra liberista che “il governo non interviene e rispetta il mercato”.

Ora si attende l’Antitrust e, perché no?, anche l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Peraltro, di tale operazione si parla da tempo. E si suppone che vi sia stata qualche doverosa segnalazione da parte dei protagonisti. Tutto bene, allora? Non si sente l’urgenza di riaprire il caso? La Commissione cultura della Camera dei deputati sta discutendo della delega al governo per la riforma dell’editoria. Il Partito democratico ha da poco depositato un testo. Quei testi vanno per lo meno attualizzati. Urge che il capitolo antitrust torni in scena. Subito, prima che sia troppo tardi. Sostiene Marina Berlusconi che si tratta di un’operazione significativa e importante. E’ lecito avere il dubbio che, stanti le difficoltà complessive del gruppo Fininvest, si tratti solo del primo atto, per ristrutturare e vendere a qualche soggetto estero? Non è roba da Gufi. E’ la mera logica formale ad indurre cattivi pensieri.

Comunque, il primo antidoto è reagire, non addormentarsi, non lasciar passare tutto, come se omologazione e restrizione delle libertà fossero la nostra “normalità”. Controllo della Rai, limiti alle intercettazioni, rischi censori, precariato devastante, chiusura di numerose testate. Vogliamo aprire gli occhi?


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