Non ci sembra abbia avuto dai media il dovuto risalto, nonostante meritasse indubbiamente maggiore attenzione, l’operazione “Columbus 2”, portata a termine nei giorni scorsi sotto la guida della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e sviluppatasi negli ultimi anni, grazie ad una collaborazione con le agenzie anticrimine statunitensi DEA e FBI e ad alcune rogatorie internazionali che hanno riguardato non solo il Costa Rica ma anche Spagna, Olanda e Belgio.
Infatti la “Columbus 2” è la naturale prosecuzione di un’altra importante inchiesta, denominata appunto “Columbus”, che a maggio di quest’anno ha consentito di porre sotto i riflettori e sgominare con tredici arresti un cartello criminale che curava il trasporto e la commercializzazione di ingenti quantitativi di cocaina, provenienti dal centro America, in particolare dal Costa Rica e destinati al mercato europeo. Ingegnoso il sistema adottato dai trafficanti: la droga veniva occultata in camion e container che ufficialmente trasportavano i tuberi e la frutta tropicale raccolti in quei paesi e, dopo una tappa nei porti americani, finiva per arrivare in Europa, dove la ‘ndrangheta provvedeva a smistare la sostanza preziosa e moltiplicarne all’infinito i profitti derivanti dalla vendita al dettaglio.
Il fulcro di ogni operazione era il ristorante “Cucina a modo mio” nel quartiere Queens a New York, dove un insospettabile, perché incensurato almeno fino ad allora, ristoratore di origini calabresi, Gregorio Gigliotti, in realtà fungeva il doppio ruolo di interlocutore privilegiato con i cartelli della droga del centro America e di ufficiale di collegamento tra la potente cosca degli Alvaro e la famiglia Genovese, da sempre ai vertici di Cosa Nostra in America.
Un vero e proprio broker internazionale della potente ‘ndrangheta che, per non smentire il ruolo atavico della famiglia di sangue all’interno dell’organizzazione criminale, aveva coinvolto nella realizzazione dei piani anche la moglie e il figlio, entrambi utilizzati per tessere i nodi della filiera criminale tra Stati Uniti, Costa Rica ed Europa, una solida organizzazione che vedeva sedere allo stesso tavolo ‘ndrangheta, mafia americana e cartelli colombiani. Per tutti loro sono state avviate le procedure di estradizione verso il nostro Paese fin dal maggio scorso, anche se il figlio si trova in libertà dopo aver pagato la cauzione.
In questi giorni, invece, gli uomini del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, in collaborazione con Dea e Fbi, hanno messo le manette ai polsi di altri sette trafficanti, per lo più cubani e costaricensi; l’accusa per loro è la stessa contestata a suo tempo a Gigliotti e ai suoi sodali: associazione per delinquere e traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
Nel corso delle indagini sono stati definiti organigramma e rotte gestite dall’organizzazione, il cui fulcro era proprio Gigliotti e i suoi famigliari, tra cui il cugino Franco Fazio: ciò ha consentito anche il sequestro tra Stati Uniti ed Europa di ingenti quantitativi di droga, per un volume complessivo che ammonta a circa 3,2 tonnellate di cocaina trafficate solo nell’ultimo biennio. Valencia, Rotterdam e Anversa, solo per citarne alcuni, sono stati porti presso i quali sono stati individuati e sequestrati i container delle società costaricensi coinvolte nel traffico internazionale.
Nel corso della conferenza stampa di presentazione dei risultati della “Columbus 2”, tanto il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho che il suo aggiunto Nicola Gratteri hanno elogiato non solo la professionalità degli uomini dello SCO, ma anche l’accordo operativo raggiunto con Dea e Fbi, oltre che la collaborazione avuta da molti colleghi magistrati dei paesi del centro America, che ha consentito loro di seguire i criminali passo dopo passo, per arrivare a stroncarne l’organizzazione e i traffici.
Quello che emerge chiaramente da queste ultime indagini della Dda di Reggio Calabria sono le nuove rotte della cocaina, gestite dalla ‘ndrangheta: Costarica, Bolivia e Perù, ma anche Brasile e Argentina sono i paesi entrati ormai a far parte in pianta stabile delle direttrici del grande narcotraffico internazionale, che vede proprie le cosche calabresi svolgere il ruolo dell’attore protagonista. Un soggetto criminale – la ‘ndrangheta – che si muove ormai a livello planetario, con la maggior parte dei propri interessi proiettati fuori dalla terra d’origine, la Calabria.
E tornano d’attualità le parole di Giovanni Falcone che, in un articolo pubblicato postumo il 31 maggio 1992 dal quotidiano “L’Unità” ammoniva a bilanci trionfalistici nella lotta alla mafia, indicando le linee di sviluppo internazionale delle cosche: «Malgrado i processi e le condanne, risulta da inchieste giudiziarie ancora in corso che la mafia non ha abbandonato il traffico di eroina e che comincia ad interessarsi sempre più alla cocaina; e si hanno già notizie precise di scambi tra eroina e cocaina già in America, col pericolo incombente di contatti e collegamenti – la cui pericolosità è intuitiva – tra mafia siciliana ed altre organizzazioni criminali italiane e sudamericane. Le indagini per la individuazione dei canali di riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di stupefacenti sono rese molto difficili, sia a causa di una cooperazione internazionale ancora insoddisfacente, sia per il ricorso, da parte dei trafficanti, a sistemi di riciclaggio sempre più sofisticati».
Falcone aveva intuito la capacità tanto di Cosa Nostra che degli altri sodalizi criminali provenienti dall’Italia di estendere il loro raggio d’azione fuori dal nostro Paese, risalendo a ritroso le rotte del narcotraffico, allora in piena fase d’espansione. Una capacità supportata dalla volontà di pensare in grande, fuori dal ridotto dei confini italiani.
Oggi a distanza di tanti anni, la magistratura calabrese sembra aver fatto davvero tesoro della lezione di Falcone e batte ripetutamente la strada del contrasto internazionale della ‘ndrangheta con operazioni di livello davvero straordinario, considerata la mole degli accertamenti investigativi, dei pedinamenti effettuati, delle intercettazioni disposte. Peccato che la maggior parte degli italiani non sia a conoscenza di questo sforzo investigativo eccezionale.
Non ci sembra abbia avuto dai media il dovuto risalto, nonostante meritasse indubbiamente maggiore attenzione, l’operazione “Columbus 2”, portata a termine nei giorni scorsi sotto la guida della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e sviluppatasi negli ultimi anni, grazie ad una collaborazione con le agenzie anticrimine statunitensi DEA e FBI e ad alcune rogatorie internazionali che hanno riguardato non solo il Costa Rica ma anche Spagna, Olanda e Belgio.
Infatti la “Columbus 2” è la naturale prosecuzione di un’altra importante inchiesta, denominata appunto “Columbus”, che a maggio di quest’anno ha consentito di porre sotto i riflettori e sgominare con tredici arresti un cartello criminale che curava il trasporto e la commercializzazione di ingenti quantitativi di cocaina, provenienti dal centro America, in particolare dal Costa Rica e destinati al mercato europeo. Ingegnoso il sistema adottato dai trafficanti: la droga veniva occultata in camion e container che ufficialmente trasportavano i tuberi e la frutta tropicale raccolti in quei paesi e, dopo una tappa nei porti americani, finiva per arrivare in Europa, dove la ‘ndrangheta provvedeva a smistare la sostanza preziosa e moltiplicarne all’infinito i profitti derivanti dalla vendita al dettaglio.
Il fulcro di ogni operazione era il ristorante “Cucina a modo mio” nel quartiere Queens a New York, dove un insospettabile, perché incensurato almeno fino ad allora, ristoratore di origini calabresi, Gregorio Gigliotti, in realtà fungeva il doppio ruolo di interlocutore privilegiato con i cartelli della droga del centro America e di ufficiale di collegamento tra la potente cosca degli Alvaro e la famiglia Genovese, da sempre ai vertici di Cosa Nostra in America.
Un vero e proprio broker internazionale della potente ‘ndrangheta che, per non smentire il ruolo atavico della famiglia di sangue all’interno dell’organizzazione criminale, aveva coinvolto nella realizzazione dei piani anche la moglie e il figlio, entrambi utilizzati per tessere i nodi della filiera criminale tra Stati Uniti, Costa Rica ed Europa, una solida organizzazione che vedeva sedere allo stesso tavolo ‘ndrangheta, mafia americana e cartelli colombiani. Per tutti loro sono state avviate le procedure di estradizione verso il nostro Paese fin dal maggio scorso, anche se il figlio si trova in libertà dopo aver pagato la cauzione.
In questi giorni, invece, gli uomini del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, in collaborazione con Dea e Fbi, hanno messo le manette ai polsi di altri sette trafficanti, per lo più cubani e costaricensi; l’accusa per loro è la stessa contestata a suo tempo a Gigliotti e ai suoi sodali: associazione per delinquere e traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
Nel corso delle indagini sono stati definiti organigramma e rotte gestite dall’organizzazione, il cui fulcro era proprio Gigliotti e i suoi famigliari, tra cui il cugino Franco Fazio: ciò ha consentito anche il sequestro tra Stati Uniti ed Europa di ingenti quantitativi di droga, per un volume complessivo che ammonta a circa 3,2 tonnellate di cocaina trafficate solo nell’ultimo biennio. Valencia, Rotterdam e Anversa, solo per citarne alcuni, sono stati porti presso i quali sono stati individuati e sequestrati i container delle società costaricensi coinvolte nel traffico internazionale.
Nel corso della conferenza stampa di presentazione dei risultati della “Columbus 2”, tanto il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho che il suo aggiunto Nicola Gratteri hanno elogiato non solo la professionalità degli uomini dello SCO, ma anche l’accordo operativo raggiunto con Dea e Fbi, oltre che la collaborazione avuta da molti colleghi magistrati dei paesi del centro America, che ha consentito loro di seguire i criminali passo dopo passo, per arrivare a stroncarne l’organizzazione e i traffici.
Quello che emerge chiaramente da queste ultime indagini della Dda di Reggio Calabria sono le nuove rotte della cocaina, gestite dalla ‘ndrangheta: Costarica, Bolivia e Perù, ma anche Brasile e Argentina sono i paesi entrati ormai a far parte in pianta stabile delle direttrici del grande narcotraffico internazionale, che vede proprie le cosche calabresi svolgere il ruolo dell’attore protagonista. Un soggetto criminale – la ‘ndrangheta – che si muove ormai a livello planetario, con la maggior parte dei propri interessi proiettati fuori dalla terra d’origine, la Calabria.
E tornano d’attualità le parole di Giovanni Falcone che, in un articolo pubblicato postumo il 31 maggio 1992 dal quotidiano “L’Unità” ammoniva a bilanci trionfalistici nella lotta alla mafia, indicando le linee di sviluppo internazionale delle cosche: «Malgrado i processi e le condanne, risulta da inchieste giudiziarie ancora in corso che la mafia non ha abbandonato il traffico di eroina e che comincia ad interessarsi sempre più alla cocaina; e si hanno già notizie precise di scambi tra eroina e cocaina già in America, col pericolo incombente di contatti e collegamenti – la cui pericolosità è intuitiva – tra mafia siciliana ed altre organizzazioni criminali italiane e sudamericane. Le indagini per la individuazione dei canali di riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di stupefacenti sono rese molto difficili, sia a causa di una cooperazione internazionale ancora insoddisfacente, sia per il ricorso, da parte dei trafficanti, a sistemi di riciclaggio sempre più sofisticati».
Falcone aveva intuito la capacità tanto di Cosa Nostra che degli altri sodalizi criminali provenienti dall’Italia di estendere il loro raggio d’azione fuori dal nostro Paese, risalendo a ritroso le rotte del narcotraffico, allora in piena fase d’espansione. Una capacità supportata dalla volontà di pensare in grande, fuori dal ridotto dei confini italiani.
Oggi a distanza di tanti anni, la magistratura calabrese sembra aver fatto davvero tesoro della lezione di Falcone e batte ripetutamente la strada del contrasto internazionale della ‘ndrangheta con operazioni di livello davvero straordinario, considerata la mole degli accertamenti investigativi, dei pedinamenti effettuati, delle intercettazioni disposte.
Peccato che la maggior parte degli italiani non sia a conoscenza di questo sforzo investigativo eccezionale.