In provincia di Latina le mafie non ci sono: parola del “fascio-comunista” Antonio Pennacchi, premio Strega 2010 con “Canale Mussolini”. Non c’erano neanche quando fu ammazzato Don Cesare Boschin, nella primavera del 1995, mentre il clan dei Casalesi andava comprando terreni agricoli a ridosso della discarica di Borgo Montello, poi divenuta una delle più grandi d’Europa grazie alle sistematiche autorizzazioni concesse dalla Regione Lazio. Non c’era soprattutto nel marzo del 1996 quando il pentito Carmine Schiavone, cugino di Francesco (detto Sandokan) ed ex cassiere di quel clan, presso la Caserma dei Carabinieri del capoluogo pontino rilasciava una lunga deposizione nella quale spiegava nei minimi dettagli il loro radicamento nel territorio a sud di Roma. Eccellenti risultavano i rapporti con i fratelli Tripodo, figli del capobastone della ‘ndrangheta calabrese “Don” Mico (ammazzato in carcere nel 1976), stabilitisi da tempo dalle parti di Fondi, dove si occupavano di droga, contrabbando e traffico di armi.
Chissà come mai allora proprio da quelle parti sono avvenuti tre clamorosi arresti in pochi giorni. I carabinieri del gruppo di Torre del Greco hanno catturato, appena qualche giorno fa, il boss Michele Cuccaro, tra i 100 latitanti più pericolosi d’Italia; 49enne napoletano, Cuccaro è considerato un boss al vertice dell’omonimo clan attivo nei quartieri a est della provincia di Napoli. I militari gli hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare per associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio, traffico di stupefacenti, contrabbando e altro. Giusto la settimana scorsa poi, sempre a Latina, c’é stata l’operazione “Acero-Krupy” che ha portato all’arresto di 57 persone con le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti e detenzione abusiva di armi, aggravati dalla transnazionalità delle condotte criminose. Le indagini infatti riguardano i fratelli Crupi, collegati ad una delle famiglie più pericolose della ‘ndrangheta calabrese, i Comisso di Siderno, che attraverso un’azienda florovivaistica importavano fiori dall’Olanda con annessi carichi di droga. Lo stesso giorno, a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, i carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile della locale compagnia insieme agli agenti della Guardia di Finanza, Gruppo di Formia, hanno arrestato il latitante Vincenzo Gallo, elemento di spicco e reggente del clan Esposito alias “dei Muzzoni” operante anche nel sud pontino.
Del resto che il clima delle ex Paludi Pontine giovi ai criminali, dopo il collaboratore F. Di Carlo, lo ha confermato recentemente il pentito G. La Barbera, ex uomo d’onore della famiglia mafiosa di Altofonte: l’uccisione di Giovanni Falcone sarebbe stata pianificata attraverso riunioni tenutesi in una villa di San Felice Circeo alle quali avrebbero partecipato alcuni generali, Totò Riina ed ex ministri democristiani. Di tutto questo si dovrebbe discutere. Si dovrebbero tenere conferenze, convegni, dibattiti pubblici. Invece nessuno parla.
Neanche i due esponenti di spicco della politica pontina che siedono in commissione parlamentare antimafia. Il primo è Claudio Moscardelli del Partito Democratico, che ha un passato nella Democrazia Cristiana e che alle prossime primarie del suo partito sosterrà Paolo Galante per la carica di Primo cittadino. Costui è un ex quadro di Alleanza Nazionale che viene dall’estrema destra. Presso il suo albergo di lusso infatti è assiduo frequentatore il fondatore di Terza posizione, Gabriele Adinolfi. Galante è ufficialmente candidato alle primarie del PD perché ha votato questo partito nelle ultime tre elezioni.
Il secondo è Claudio Fazzone, già autista di Nicola Mancino ed ex democristiano pure lui, poi diventato fedelissimo di Berlusconi: uno che ha attraversato gli ultimi anni della politica pontina ben aggrappato al potere che ha gestito con disinvoltura, tra raccomandazioni per assunzioni clientelari, abusi edilizi (tipo la sua villa a Fondi) e grandi opere urbanistiche utili a pochi. È stato il grande regista del mancato scioglimento per infiltrazioni mafiose proprio dell’amministrazione comunale di Fondi e dello scontro con la prefettura guidata dal Prefetto Frattasi.
Insomma, mentre le forze dell’ordine e la magistratura continuano ad arrestare mafiosi e pericolosi latitanti, in provincia di Latina non si deve parlare di mafie, o al massimo se ne deve parlare sottovoce: si rischia altrimenti di far sapere ai cittadini che la propria classe dirigente è diventata allergica alla legalità avendo perduto di vista il confine tra affari leciti e illeciti.