Ad Ankara una manifestazione per la pace organizzata dal partito moderato curdo, dai sindacati di sinistra Disk e Kesk, dalle opposizioni e da alcuni ordini di professionisti, per chiedere la fine del conflitto con i separatisti del Pkk è stata violata da due esplosioni, a pochi secondi l’una dall’altra, in cui hanno trovato la morte 86 persone, un bilancio destinato a salire per l’alto numero di feriti, più di 186. Dopo l’attentato la polizia ha sparato dei colpi in aria per “liberare” il luogo delle esplosioni dai manifestanti.
Il corteo per la pace è stata annullato e gli organizzatori nel timore di ulteriori attacchi di Kamikaze hanno chiesto ai partecipanti di tornare a casa, tra loro Selahatin Demirtas, leader dell’Hdp -il partito filo-curdo che in giugno aveva sottratto la maggioranza assoluta all’Akp il partito conservatore islamico del presidente Recep Tayeep Erdogan- ha commentato sui social media: “un massacro crudele, un attacco barbaro, è una continuazione di Diyarbakir e Suruc”.
Attentati compiuti prima e dopo le scorse elezioni in cui in cui morirono 4 persone a Diyarbakir, durante un comizio dell’Hdp e 33 attivisti a Suruc mentre viaggiavano verso Kobane, attacco rivendicato dall’Isis ma in cui secondo molti analisti era implicato direttamente il governo turco.
Nei giorni successivi la tregua in vigore dal 2003 tra il Pkk e il governo venne meno alimentando un conflitto che ha visto precipitare il paese nell’attuale guerra civile, una svolta nella politica turca, secondo molti voluta da Erdogan che tramite un’offensiva antiterroristica contro gli jihadisti dell’Isis ma anche contro il Pkk, tenta di recuperare il consenso degli ultra-nazionalisti e di rafforzare la sua immagine di leader assoluto.
La Turchia a meno di un mese dalle prossime elezioni del 1 novembre cade di nuovo nell’inferno della violenza e della paura, Ahmet Davutoglu, premier ad interim, ha convocato una riunione d’urgenza con i vertici della sicurezza e Erdogan ha dichiarato che: “Qualunque sia l’origine, è necessario opporsi a tutti i terroristi”.
Ma oltre le dichiarazioni di circostanza, oltre le parole di sdegno resta l’interrogativo su chi alimenta questo vento di morte, in una terra in cui la censura incatena la libertà di stampa con ferocia e sussulti di sangue. Uomini e donne uniti in un grido d’amore per invocare la pace che ha trovato la morte, raccontano il disonore per l’umanità in cui il dolore si fa eterno, la Turchia è oggi il nostro fallimento, una follia in cui il cuore si spegne.