In un recente studio dal titolo “Perception of Perfection” (percezione della perfezione) è stato chiesto a 18 donne, che si occupano di design grafico ed appartenenti a diversi Paesi, di modificare l’immagine di un corpo di donna secondo l’ideale canonico di bellezza della propria società di appartenenza. I grafici potevano modificare il corpo, l’abbigliamento, i capelli ed il viso. I risultati sono stati variegati ed allarmanti per l’ideale rappresentato nella nostra società.
La percezione di bellezza e perfezione in Italia segue dei canoni di magrezza, infatti la nostra società è la seconda in classifica, dopo la Cina, per peso ed indice di massa corporei (BMI) più bassi. Cosa può comportare questo canone di bellezza? Cosa comporta scontrarsi con una cultura della perfezione molto rigida?
La preoccupazione sta proprio in queste domande: nella società si sviluppa la tendenza ad assomigliare a questi canoni ideali imposti e ciò comporta, in particolare nei Paesi dove è richiesta la magrezza, a disturbi del comportamento alimentare (DCA) nelle donne, ed in particolare le più giovani. I ricercatori che studiano i DCA sostengono che l’aumento di questi disturbi sia proprio correlato all’incremento della pressione mediatica e culturale verso la dieta da parte delle donne, per conformarsi ai modelli imposti di una perfezione astratta.
Chi soffre di DCA basa la propria autostima esclusivamente sul peso e sulla forma del proprio corpo, trascurando le proprie qualità intellettive e/o personali. Per molte donne la priorità diviene l’approvazione sociale, perciò per poter piacere agli altri ed a sé, si concentrano sugli standard ideali da raggiungere: la magrezza diviene sinonimo di bellezza e di valore personale. Oggi, riuscire a raggiungere il peso ritenuto ideale viene considerato un esempio di forza di volontà e determinazione, infatti una donna che vi riesce si sente bella, forte e vincente, mentre avere qualche chilo di troppo equivale invece a sentirsi brutti e perdenti.
Gli standard culturali vengono interiorizzati ed usati come metro di confronto sulla propria adeguatezza fisica e sociale ed hanno una forte influenza sulla propria rappresentazione ed immagine corporea, condizione potenzialmente rischiosa per l’instaurarsi di disturbi del comportamento alimentare. In questo modo, il bisogno di approvazione sociale ed il confronto con i modelli imposti dalla società generano ed alimentano, nelle donne più o meno giovani, un conflitto con il proprio corpo che “non è mai abbastanza perfetto”. Accade quindi che ci si identifica con i modelli di riferimento, generando un conflitto tra come ci si vede ed il modello ideale a cui si aspira, generando frustrazione, inferiorità e senso di inadeguatezza. Tutto ciò comporta una fragilità ed un abbassamento dell’autostima, che si basa sulla propria immagine corporea distorta rispetto all’idea personale di perfezione. Infatti, l’insoddisfazione corporea si realizza nelle credenze disfunzionali sul peso e sulla forma corporea, che originano a loro volta errori di ragionamento e schemi cognitivi disfunzionali, come ad esempio l’attenzione selettiva (stare attenti solo ad alcuni particolari, ignorandone altri) e la rigidità cognitiva (rivolgendo i pensieri verso un unico scopo, quello di controllare il cibo e non individuare alternative plausibili) che a loro volta alimentano le credenze in un circolo vizioso. In questo senso, ciò che viene percepito in maniera distorta come “difetto” diviene un elemento che compromette l’aspetto fisico globale e la persona stessa, generando insoddisfazione, preoccupazione e disagio nonchè pensieri continui ed ossessivi focalizzati esclusivamente su di esso, sovrastimandolo. Queste donne, per raggiungere l’obiettivo “irraggiungibile”, alterano così la condotta alimentare che segue una logica distorta sempre più rigida e restrittiva fino a diventare compulsiva; controllano ciò che mangiano e se falliscono interviene il senso di colpa, alimentando ancora di più il circolo vizioso, che pregiudica inconsapevolmente la salute psicofisica.
Un altro elemento importante e preoccupante, determinato dal contesto socioculturale è il cambiamento avvenuto nel tempo del rapporto con il cibo: in commercio vengono proposti prodotti e snack stuzzicanti a cui spesso è difficile resistere, si tratta del cosiddetto “Junk food” o cibo spazzatura, una tipologia di cibo, spesso in piccole porzioni, con un bassissimo valore nutrizionale ma allo stesso tempo ricchissimo di grassi e zuccheri. Il paradosso sta proprio nell’ambivalenza tra la forte pressione socioculturale sull’ideale di magrezza ed il bombardamento mediatico che spinge ad acquistare e mangiare Junk food. Inoltre, quando il controllo del peso e del cibo diventano un’ossessione, si risponde ad essi attraverso schemi di controllo molto rigidi che possono comportare piccole o grandi perdite di controllo, proprio per la tentazione, facilitano il disturbo alimentare. Infatti, di fronte all’alto potenziale ingrassante di questi cibi, vengono pubblicizzati svariati tipi di dieta, che sottolineano la facilità del perdere peso, condizionandoci all’idea che questo possa fare bene. Al contrario, gli esperti sottolineano che le modificazione del peso repentina e senza un controllo medico è una pratica dannosa, che non può prescindere da una dieta sana e regolare, senza sbalzi tra abbuffate e digiuni.