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La legge Severino: da rivedere in senso restrittivo

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La legge Severino è conforme alla Costituzione. In questo senso si è espressa la Consulta, che ha respinto il ricorso dell’attuale Sindaco di Napoli e giudicato “costituzionale” il provvedimento legislativo. Dopo la sentenza, comunque, ci sono ancora molti che ritengono la legge in questione sbagliata. Nel “caso De Magistris” si asserisce che se un anno fa il Sindaco, eletto dal popolo, si fosse dimesso oggi, dopo la assoluzione avuta in primo grado, non avrebbe potuto rivestire la carica di Sindaco. Su questa legge occorre una serena, pacata, e soprattutto onesta riflessione.

Che la Severino sia da rivedere sono d’accordo ma, la sua revisione, a mio giudizio, andrebbe attuata in senso maggiormente restrittivo. Da esperto di diritto penale ma soprattutto da cittadino non riesco a comprendere perché per fare l’agente di polizia occorra avere oltre la propria fedina penale pulita e persino quella dei propri parenti mentre chi scrive le leggi dello Stato e rappresenta il Popolo sovrano, quindi ha una responsabilità maggiore di chi le fa rispettare, possa avere la facoltà di essere eletto fino alla eventuale condanna definitiva? Mi si risponderà: la Costituzione afferma che nessuno è colpevole fino alla condanna definitiva.

Questo criterio allora vale anche per le forze dell’ordine? No, per loro si applica il cd. criterio della “sicurezza” (fedina penale assolutamente pulita) e se così non fosse, e ci trovassimo alla fine del percorso processuale con un condannato in terzo grado, avremo avuto in servizio per anni come tutore dell’ordine un pregiudicato. Io sono convinto che il predetto assunto debba valere a maggior ragione per chi le leggi di uno Stato le scrive e per chi rappresenta il Popolo italiano. In un Paese dilaniato dalla corruzione e ultimo in Europa, occorrono leggi severe ed efficaci sia per i cittadini ma soprattutto per la classe politica.

Per quanto mi riguarda non sono neanche d’accordo sul fatto che un condannato con sentenza passata in giudicato per la sua decadenza deve passare per una giunta interna che decide delle sue sorti (il caso dei parlamentari). Se un organo terzo ed imparziale che esercita una funzione giurisdizionale per l’applicazione della legge ti condanna dopo tre gradi un giudizio, questa decisione va applicata all’istante senza fare distinzioni di partito e senza creare una specie di quarto grado di giudizio. In merito alla legge Severino il suo scopo a me sembra lapalissiano: evitare e scongiurare l’accesso o la permanenza in cariche pubbliche di soggetti privi dei dovuti requisiti di moralità e di imparzialità (art. 54 Cost.). Non dimentichiamoci che i reati commessi da pubblici ufficiali se contro la persona, il patrimonio o lo Stato prevedono l’interdizione dai pubblici uffici e per quelli più gravi addirittura la perdita dell’elettorato attivo e passivo come pena accessoria comminata al condannato.

A questo proposito, il fatto difficile da comprendere è che da alcuni anni l’Italia sia governata con decreti legge e che gli eletti siano nominati a tavolino dalle segreterie di partito: questo a mio giudizio è il vero scandalo. Se una persona è un disonesto deve essere allontanato automaticamente dalla vita politica. Sinceramente non vorrei vedere in Parlamento neanche uno stupratore, un ladro d’auto o un topo d’appartamento. Se un cittadino per fare il poliziotto deve essere “immacolato” a maggior ragione questa regola dovrebbe valere per tutti coloro che rivestono funzioni pubbliche di rilievo costituzionale. Il problema di fondo resta sempre lo stesso. Per vincere la corruzione ci vogliono: una efficace attività preventiva, giudizi rapidi, un processo che funzioni e pene certe. Oggi se uno ruba denaro pubblico in tre diversi contesti (Stato, Regione, Provincia), teoricamente potrebbe prendere fino a 10 anni per ogni distinto reato, ossia 30 anni. Ne prende invece tra i due e i tre anni e non sconta neppure un giorno. Su questo aspetto va fatta una seria riflessione se non si vuol giungere allo sfacelo generale della Stato italiano.

(Vincenzo Musacchio, già docente di diritto penale presso l’Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma)


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