Roma liberata. Il Giornale, rovescia contro Marino il grido che si era levato alla caduta di Alemanno. Il manifesto evoca “L’Ultima cena”, quella del tradimento e della vergogna. “Temo che torni la mafia”, confessa l’ex (ma ha 20 giorni per ritirare le dimissioni) sindaco alla Stampa. “Marino lascia e avverte: tiro giù tutti”, secondo il Corriere. Per il Fatto, Renzi ha finalmente trovato “il mostro di Loch Ness”, che non è Verdini, “è Marino”. “Non si può crocifiggere una persona solo perchè è diversamente onesta”, Altan.
“Da domani tutte le buche di Roma si autotapperanno. Non ci sarà più traffico e sparirà il malaffare”, ironico il tweet di Fiorello, Gasmann rende l’onore delle armi: “Tutti contro uno non mi è mai piaciuto. Saluto Marino nel momento in cui non lo saluta nessuno, malgrado tutto”. “La ferita del Campidoglio ora brucia sulla pelle del Pd” scrive Stefano Folli, evocando una sconfitta quasi certa per il partito e per il premier se si voterà a Roma nella prossima primavera.
L’insostenibile leggerezza di Marino ha sconcertato anche me, che gli sono stato amico. Tuttavia penso che la vicenda vada oltre la personalità del sindaco marziano. Ieri è morto, dopo lungo travaglio, un non nato: il partito della nazione. Lungo travaglio? Sì, cominciò Veltroni, nel 2008 accettando la sfida del Porcellum: andava sul palco da solo, tenendo lontano il partito degli ex funzionari che D’Alema un tempo elogiava. Poi segretario fu Franceschini che -mi dicono- tradisca amici e avversari. Quindi Bersani con il suo tortello magico, una cerchia di pochi consiglieri e decisori: Migliavacca, Stumpo, Di Traglia, Zoggia, Errani, Gotor. Come condimento primarie senza regole per regolare lo scontro fra correnti. Ed è finita che il Pd si affidasse, per comuni e regioni, a uomini della provvidenza, presunti prodotti di marketing, sovente invisi allo stesso apparato, senza programma condiviso, nè squadra, se non raccogliticcia. Marino è stato appoggiato da Bettini, che lo ha subito mollato. Le perdenti Moretti e Paita, candidate da Renzi. De Magistris, Doria, Pisapia, Orlando si imposero al Pd. De Luca, fu sostenuto dal premier pur non perdere la Campania.
Il partito della nazione è tutto qua: un capo a Palazzo Chigi, sindaci e governatori non selezionati nè davvero voluti, comitati elettorali e comitati d’affari, squadre improbabili, programmi vaghi. E un Parlamento che attua il programma del governo anche quando tale programma è auto contraddittorio. Ieri al Senato il governo ha detto sì a un ordine del giorno che vorrebbe ridurre a 12 le regioni e dar vita a un’ultra riforma costituzionale, diversa questa, sospiratissima, che sta imponendo a passo di corsa. A fine seduta la Boschi ha illustrato un emendamento alle norme transitorie che intima alle regioni di adeguare le loro leggi perché i senatori vengano scelti non in consiglio ma con le elezioni. Cadeau alla minoranza. Ma, che si fa? Si sciolgono i consigli e si vota ovunque? O si rinnova il Senato a metà?
La terza intifada. A Gerusalemme ma anche alle porte di Tel Aviv, sostenuta dai palestinesi dei “territori” ma anche dagli arabo israeliani. Netanyahu grida: è terrorismo! Minaccia un giro di vite e invita gli ebrei a uscire armati. Non capisce, o finge di non capire, che fin quando Israele non proporrà una soluzione sostenibile e generosa per il popolo palestinese e uno statuto speciale per Gerusalemme, città delle tre religioni, la colpa sarà sempre di Israele. Se lo schiavo soffre, se si ribella a costo della vita, la colpa è del padrone che lo mette in ceppi, non dello schiavo che non si è fatto piacere le catene.