“Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua,di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. L’appuntamento di Roma per la giornata mondiale contro la povertà si è aperto con la lettura dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana, uno dei passaggi meno citati, e non a caso, eppure l’articolo che dovrebbe garantire l’attuazione di tutti gli altri principi ispiratori della nostra carta fondativa. L’incontro, organizzato dalla campagna “Miseria ladra” di Libera e del Gruppo Abele, è uno dei tanti che si sono svolti in questo 17 ottobre in tutta Italia. “Pari dignità sociale”, lo slogan della giornata centrata sulla richiesta dell’introduzione del reddito di cittadinanza, già da tempo obiettivo di Libera, insieme a molte altre associazioni e sindacati, e che Articolo 21 ha da sempre condiviso.
“Il reddito dignità è un atto di responsabilità, non di carità, non è elemosina ma giustizia”: è andato subito a fondo don Luigi Ciotti, aprendo il dibattito al teatro Ambra Jovinelli, e il suo interlocutore era chiaramente il governo e il mondo politico nel suo insieme. “Sarebbe un provvedimento di vera politica – ha proseguito – perché il sostegno ai deboli ed agli emarginati, oltre che imperativo etico, è anche una misura contro il malaffare e la corruzione.” Passaggi che delineano un vero e proprio progetto politico che riporta al centro della scena la società, cancellata da politiche fatte a tavolino, mentre (e sono ancora parole di don Ciotti) “le politiche sociali non sono un lusso ma un bene comune da difendere, perché i diritti sociali abilitano ad esercitare tutti gli altri diritti, politici e civili”.
Parole confermate dai vari interventi, tanti i rappresentanti di realtà che si trovano a sostenere il peso dei servizi sociali nella crescente assenza di risorse e in territori dimenticati dalle istituzioni centrali, come ha ben spiegato un amministratore locale. Periferie dimenticate, che sono piccoli comuni o frazioni di montagna, dove nessuno guarda, non più lo Stato nelle sue articolazioni territoriali, ma neanche noi giornalisti e i media per cui lavoriamo. Raccontare le vite degli altri nella concretezza dei loro bisogni, del lavoro o della sua mancanza, dell’assenza di aiuto per anziani e disabili, della riduzione di strutture e fondi per l’istruzione e la ricerca, che significa sviluppo sano e stabile, non fa parte più da tempo dell’agenda dell’informazione.
“La società sta scomparendo, non più riconosciuta come tale dall’agenda del potere, che è sempre più lontana dai bisogni dei cittadini”, ha denunciato il giurista Stefano Rodotà, individuando alcune derive implicite nella linea politica del governo: da un lato si spezzano i legami sociali, dall’altro, la miseria ruba dignità alla persona, esponendo l’individuo che vive ai margini al ricatto del bisogno.
Richiami, quelli risuonati oggi, che rischiano ancora una volta di cadere nel vuoto che vediamo intorno, mentre da Udine il premier Renzi e da Imola i leader Cinquestelle riempiono homepage e tg, indifferenti a quella società reale cancellata. Ci sarebbe, allora, da riprendere quanto ha scritto un grande visionario scomparso da poco, Pietro Ingrao, che parlava a tutti, ma forse ancora di più dovrebbe parlare a noi che scriviamo, e che la missione di illuminare i cancellati dovremmo praticarla in ogni istante: “Noi tutti avremo vinto quando i senza volto, i senza nome, gli incerti del nome, i proibiti del nome, i senza carta, saranno riconosciuti nelle loro capacità e nella loro ricchezza umana.”