«Ancora una volta si cerca di colpire la libertà d’informazione e il diritto dei cittadini di essere informati cercando di mettere un bavaglio ai giornalisti»: questo è l’allarme lanciato da intellettuali e giornalisti italiani con un appello in merito al nuovo disegno di legge, approvato alla Camera dei Deputati, che di fatto delega il governo alla predisposizione di norme in materia di pubblicazione delle intercettazioni.
L’appello contro la norma, che è già stata ribattezzata «nuova legge bavaglio», vede come primo firmatario il giurista Stefano Rodotà. Tra le numerose adesioni compaiono molte firme del Gruppo Espresso (la Repubblica e l’Espresso) e di altri quotidiani nazionali, come l’intera redazione de Il Fatto Quotidiano. Molte le firme del servizio pubblico Rai e istituzionali come l’Ordine dei giornalisti con il suo presidente, Enzo Iacopino e della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) con il segretario Raffaele Lorusso; a seguire agenzie di stampa, uffici stampa e intellettuali che, in nome della libertà d’espressione e di informazione, si sono mobilitati in massa per difendere l’articolo 21 della nostra Costituzione con l’appello che è possibile firmare e condividere sul sito www.nobavaglio.org .
«E’ un fatto gravissimo perché – ha ricordato Stefano Corradino, direttore dell’associazione Articolo 21 che promuove un quotidiano online a difesa della libertà di stampa, tra i promotori dell’iniziativa – utilizzare la legge delega per affrontare il tema delle intercettazioni rappresenta di fatto una violazione in quanto determina un cambiamento molto pericoloso. Infatti sarà d’ora in poi il governo (potere esecutivo) a indicare quali saranno le notizie che possono avere rilevanza per i cittadini. Non ci sarà più, così come avviene in tutti i paesi democratici, il diritto per i giornalisti di poter determinare e individuare quali notizie possano essere diffuse, o non essere diffuse, nel rispetto della deontologia professionale. Sarà il potere esecutivo a stabilirne l’agenda e la pubblicazione. Solo questo fatto – ha proseguito Corradino – è una limitazione pesante al diritto di cronaca ed è pericoloso e sbagliato invocare questa strategia per garantire la privacy ai cittadini. Garanzia che di fatto è già stabilita per legge. Al tema delle intercettazioni possiamo aggiungere la mancanza di una disciplina sul tema delle querele temerarie, ossia dell’utilizzo di querele come strumento di intimidazione preventiva per i giornalisti. Ovviamente è uno strumento che permette a chi intende imbavagliare determinate inchieste di poter procedere senza problemi e colpire soprattutto giornalisti precari e non contrattualizzati, che non hanno la possibilità di avere le spalle coperte da grandi editori che possano garantire loro sostegno legale».
Nei Paesi democratici sono i giornalisti che decidono quali sono le notizie che vanno diffuse oppure no, in base a criteri di rilevanza, attualità, interesse pubblico e privacy a tutela dei diritti dei singoli.
«Oggi, se il giornalista sbaglia – ricordano ancora i promotori dell’iniziativa –, sono già previste sanzioni. Quindi non è vero che questa riforma tutela la privacy dei cittadini che è ampiamente garantita dalle norme vigenti. La legge italiana sulla privacy inoltre chiarisce il concetto di “minore aspettativa di privacy per i personaggi pubblici», le cui notizie sono protette solo se non hanno “alcun rilievo per l’informazione”, e la stessa corte di Strasburgo ha chiarito che tutto ciò che li riguarda, penalmente rilevante oppure no, va pubblicato perfino quando vi sia violazione del segreto istruttorio. Si istituisce una censura preventiva che consente ai poteri pubblici e privati di sottrarsi al controllo dei cittadini».
Così come nel 2010, contro il decreto Alfano, oggi contro il ddl del governo Renzi concludono i promotori dell’appello per la libertà di cronaca e informazione: «Siamo pronti a mobilitarci: non ci faremo mettere il bavaglio. Chiediamo che dal disegno di legge all’esame del Senato venga stralciata la disciplina delle intercettazioni per restituire al solo Parlamento questa delicatissima materia, tutelando la pienezza del diritto di informare e ad essere informati, solennemente riconosciuto dall’articolo 21 della nostra Costituzione».