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Auditel: sistema inaffidabile e fuorviante

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Dati Auditel sospesi per 15 giorni! Una tempesta inaspettata ha sollevato gli scuri della Casa di Vetro, da sempre blindati, agli occhi dei curiosi, giornalisti, politici, autorità garanti, istituti di ricerca, università, associazioni degli utenti e libere espressioni di cittadini, di chiunque ne abbia messo in dubbio la trasparenza.
Si grida allo scandalo perché 4 mila delle 5600 famiglie Auditel  avrebbero ricevuto via mail gli indirizzi delle altre, inviati per errore dalla società Nielsen, cui è affidato il compito di comporre e gestire il campione. Il re è nudo con le sue vergogne per un inciampo nella rete. Panico nella Corte, che riunito il Cda decreta un tempo di silenzio per prendere fiato.

“La favola dell’Auditel”, scritta nel 2002, sta forse per avere un lieto fine, dopo 13 anni di battaglie per riformare il sistema degli ascolti televisivi, che impera da quasi un trentennio in regime di monopolio. Una anomalia nel mondo solo italiana.

Dal dicembre 1986, i rilevamenti dell’Auditel hanno condizionato la storia della televisione in Italia, affermando la supremazia del duopolio Rai/Fininvest poi Mediaset, che ha comportato l’assimilazione della Tv pubblica a quella commerciale, avendo in comune un unico misuratore quantitativo, ostacolando la nascita di altri poli privati senza un mercato di riferimento, penalizzando  l’emittenza locale impossibilita ad essere correttamente rilevata, sottostimando per lo stesso motivo la Tv satellitare e perpetuando nell’era del digitale misurazioni obsolete rispetto alle tecnologie di fruizione e alle abitudini di consumo televisivo odierne.

Auditel sistema inaffidabile, distorsivo e fuorviante, giudice insindacabile dell’intera programmazione televisiva e soprattutto arbitro parziale degli enormi interessi economici che vi ruotano intorno, distribuisce 4 miliardi di euro l’anno secondo dati che ancora oggi fotografano un’Italia televisiva ferma agli anni ’90.

A nulla sono valse le denunce sulle tante debolezze ed incongruenze del sistema Auditel: la governance, dove i controllati sono anche i controllori; il campionamento pieno di buchi neri e senza riscontri esterni, rappresentativo al più del 10 per cento della famiglie italiane; il rilevamento affidato alla bizzarria dei comportamenti umani, perfino di bambini di soli 4 anni, di adolescenti ribelli e di anziani centenari; i limiti tecnici che fino al 2010 non permettevano di assegnare con certezza gli ascolti alle reti, fin quando non sono stati utilizzati meter che ne rilevano la traccia audio; le distorsioni nell’elaborazione dei dati grezzi, dove i 15 secondi visti o non visti di un programma diventano l’ascolto e fanno share; le devianze nell’uso di questi dati, tanto più approssimativi se riferiti a reti, programmi e fasce d’ascolto minoritarie, che oggi sono la massima parte dello scenario televisivo digitale.

La dittatura dell’Auditel – imposta da un patto politico-economico tra Rai/Mediaset per spartire la torta degli investimenti pubblicitari e da una visione esclusivamente mercantile degli interessi televisivi – sta per crollare ed è tempo di dotare il Paese di un sistema aggiornato e composito di rilevamenti quantitativi e qualitativi degli ascolti Tv su ogni piattaforma. Lo sa bene l’Agcom-Autorità garante per le comunicazioni, che già nel 1997, nell’atto istitutivo, è stata richiesta – senza mai riuscirvi – di curare le rilevazioni degli ascolti radiotv e di vigilare sulle misurazioni operate da terzi. Tenuto conto dell’importanza che i dati d’ascolto rivestono nella vita del Paese, assumendo la valenza di consenso perfino politico, per la risonanza che gli viene riservata nella stampa e nell’opinione pubblica. Che l’Autorità colga dunque  l’attimo per defenestrare il re tiranno dalla Casa di Vetro.

Oggi occorrono dati d’ascolto credibili e diversificati secondo la committenza, che possano servire gli utenti – non solo teste da vendere sul mercato della pubblicità ma cittadini depositari di diritti comunicativi – e poi anche servire gli investitori di pubblicità necessaria a finanziare la Tv, perché facciano un salto di qualità e vadano oltre le categorie in cui l’Auditel ha la pretesa di racchiudere l’intera popolazione italiana, ovvero: ‘sognanti’, ‘ragazzi evolutivi’, pre-elite progettuale’, ‘donne doppio ruolo’, ‘elite femminile’, ‘elite maschile’, ‘protagonisti’, lavoratore d’assalto’, ‘lavoro e svago’, ‘frizzanti’, ‘solide’, ‘resistenti’, ‘signore aperte’, maschio preculturale’, ‘signore equilibrato’, ‘anziano da osteria’, ‘insoddisfatte’, ‘pacate’, ‘non classificabile’. Non meglio di quelle dello scorso anno: ‘aspiranti aggrappati’, ‘ritirati onnivori’, ‘protettivi interessati’, ‘volubili selettivi’, ‘eclettici esigenti’, ‘provinciali frivoli’, oltre ai gruppi ‘minori di 14 anni’ e ‘non classificati’. Sono “profili piscografici chiamati stili di vita” – si legge nel sito dell’Auditel – collegati “a fattori psicologici e socio-culturali che integrano i classici criteri geografici e democratici”. Non è più tempo di ridere su queste farneticanti proiezioni di marketing irrispettose della dignità delle persone davanti allo schermo Tv, perché come ho già scritto, dalle scelte televisive accreditate dall’Auditel alle scelte di consenso socio-politico il passo è breve.

La Casa di Vetro va abbattuta, non va restaurata. Oggi abbiamo istituti di ricerca pubblici e privati e tecnologie avanzate in grado di  fornire servizi di rilevamento televisivo adeguati ai tempi. Siano l’Autorità garante per le comunicazioni e il Servizio Pubblico Rai ad attivarsi in tal senso.

di Roberta Gisotti, autrice de “La favola dell’Auditel”. Fonte www.key4biz.it


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