Nonostante siano oltre 40.000 le persone ospitate, non c’è una mappa pubblica dei cosiddetti CAS, mancano informazioni chiare ed accessibili sui soggetti gestori, convenzioni, gestione economica e, soprattutto, rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto. Questa, in estrema sintesi, la fotografia dell’accoglienza dei profughi nel nostro Paese, sulla cui gestione Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare e Libera, attraverso la campagna “InCAStrati”, denunciano la situazione di grave opacità, a cominciare dai cosiddetti Centri di accoglienza straordinaria.
Tuttavia, il Ministero e gran parte delle Prefetture interpellate, salvo alcune eccezioni, hanno rigettato in buona sostanza le istanze, limitandosi a fornire alcuni dati generici sul numero complessivo degli ospiti delle strutture e sui bandi di gara relativi agli affidamenti, affermando laconicamente che le informazioni richieste non fossero soggette ad obbligo di pubblicazione. 50 Prefetture, invece, hanno ritenuto di non rispondere, elemento che spinge a interrogarci sulle concrete possibilità di interazione tra cittadinanza e rappresentanza locale del governo.
Per queste ragioni è stato depositato un riscorso al TAR del Lazio, predisposto dall’avvocato Maria Cento di Cittadinanzattiva-Giustizia per i diritti. Tra le 55 risposte notificate dalle Prefetture italiane, hanno scelto di impugnare la risposta della Prefettura di Roma, che reputano fortemente simbolica, alla luce delle note vicende di “mafia capitale”, che in buona parte coinvolgono direttamente il sistema di accoglienza profughi del territorio capitolino.
Secondo Ministero dell’Interno e Prefetture i cittadini non avrebbero alcun diritto a conoscere queste informazioni, tantomeno, di conseguenza, ad esercitare alcuna forma di controllo rispetto alla erogazione di tali servizi. Addirittura, pubblicare l’elenco dei centri e la loro ubicazione sarebbe inopportuno per ragioni di tutela della sicurezza delle persone ospitate e che vi lavorano. Va inoltre sottolineato che l’ubicazione dei CARA e dei CDA sul territorio italiano e’ informazione nota e divulgata: non e’ quindi chiaro se in questi casi il Ministero ritiene di non dover tutelare la sicurezza di ospiti e lavoratori o se al contrario i CAS rappresentino una ulteriore eccezione nel frammentato ed eterogeneo sistema dell’accoglienza.