Alcuni luoghi raccontano, proteggono, tramandano la memoria della storia di un popolo. Lo si percepisce attraversandoli, uno di questi luoghi si trova lungo le rive del Tevere dove gli ebrei furono confinati per volere di Papa Paolo IV nel 1555 attraverso la bolla “Cun nimis absurdum”. Oltre a essere soggetti a restrizioni giuridiche, sociali ed economiche per gli Ebrei nasceva anche l’obbligo di essere isolati in un quartiere prigione chiuso da muri e cancelli: il Ghetto.
In realtà gli ebrei sono presenti a Roma da più di duemila anni. L’Italia ha una storia ebraica ininterrotta e la comunità ebraica di Roma sotto l’impero Romano si sviluppò diventando uno dei centri ebraici più grandi della diaspora. Il “serraglio degli ebrei” fu edificato nel rione Sant’Angelo in una zona malsana e soggetta alle inondazioni del fiume; bisogna infatti ricordare che i lavori di sistemazione degli argini del Tevere furono eseguiti solo nel XIX secolo.
L’area confinante con il Teatro Marcello comprese anche i resti del Portico d’Ottavia ricostruito da Augusto tra il 27 e il 23 a.C. e sin dal Medioevo ospitava la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria e il mercato del pesce: la lastra marmorea dei Conservatori di Roma attesta il privilegio di quest’ultimi sul pescato.
Nel Ghetto era prevista un’unica Sinagoga, per questo la popolazione scelse di inserire all’interno di un unico palazzo cinque diverse “schole” sinagoghe legate agli ebrei romani e agli esuli di diversa provenienza. L’odierna piazza delle Cinque Scòle prende il nome dall’antico edificio e attraversandola si può ancora ammirare la Fontana del Pianto realizzata su disegno di Giacomo della Porta, così come la Fontana delle Tartarughe in piazza Mattei con gli Efebi in bronzo del Landini e le quattro tartarughe attribuite dalla tradizione al Bernini.
Su vicolo Costaguti si vede il Tempietto del Carmelo della metà del Settecento adorno di sei colonne in cui gli Ebrei erano costretti il sabato ad assistere alle prediche coatte allo scopo di convertirsi al Cristianesimo.
L’abolizione totale del ghetto si avrà solo nel 1870 a seguito della breccia di Porta Pia, quando Roma viene annessa al Regno d’Italia e termina il potere temporale dei Papi. Il ghetto allora fu in parte demolito e vennero edificate nuove strade ed edifici.
Oggi attraverso una visita tridimensionale all’interno del Museo Ebraico nel complesso monumentale del Tempio Maggiore è possibile riscoprirne l’antico aspetto e rivivere attraverso marmi, argenti, pergamene miniate e tessuti preziosi la storia bimillenaria degli ebrei di Roma.
Ma è la memoria storica a noi più vicina che camminando attraverso le vie, sfiorando i muri delle case, ascoltando il rumore delle botteghe e percependo il profumo dei cibi si fa più forte, la vita, quella di tutti giorni, interrotta, oscurata, spezzata dalle leggi razziali fasciste del settembre del 1938 da quel momento gli ebrei devono diventare degli “invisibili”, ma subdolamente isolati e ben identificati.
Fino all’alba di sabato 16 ottobre 1943, “il sabato nero” fu scelto intenzionalmente l’inizio dello Shabbat ebraico quando le famiglie per consuetudine religiosa si riuniscono e alle 5.15 circa, le SS accerchiarono l’antico ghetto e risuonarono le parole su quei fogli in mano ai nazisti: “Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti; bisogna portare con sé viveri per almeno otto giorni, soldi, gioielli, vestiti pesanti, tessere annonarie, carte d’identità; ammalati anche casi gravissimi non possono in alcun caso rimanere indietro, l’infermeria si trova al campo. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta a partire”.
Furono deportate più di mille persone – uomini, donne, anziani e bambini – nel campo di concentramento di Auschwitz. Solo quindici uomini e una donna ritorneranno a casa dalla Polonia, nessun bambino. Passeggiare in quello che era il ghetto di Roma significa attraversare la memoria di un popolo perché come ricordava Primo Levi: “Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo”.