Le immagini dei corpi straziati di Ankara, trasmesse sui nostri canali, in Turchia vengono negate, vietate dalle autorità. Estrema privazione della libertà di informazione anche in un momento così drammatico per il popolo turco, a cui non è concessa nemmeno la possibilità di capire cosa possa essere accaduto nell’attentato più grave della storia del paese.
In Turchia, a tre settimane dal voto, non si possono trasmettere i volti dei morti, persone che oggi si erano riunite per chiedere al presidente Erdoğan di fermare i bombardamenti sulle città curde e di tornare al tavolo dei negoziati. Chiedevano una soluzione politica e non militare.
Quasi 100 morti, 400 feriti. Il Capo dello Stato Erdoğan parla di attacco contro l’unità del paese, ma il partito filocurdo Hdp ipotizza che siano state forze deviate dello Stato a voler colpire i curdi. Quel che è certo è che i primi a dover essere informati – i cittadini turchi chiamati a esprimere il proprio voto il primo novembre – non ricevono invece una libera informazione.
E sono elezioni importanti. Elezioni anticipate, dopo che l’Akp – il partito conservatore islamico di Erdoğan, al governo da 13 anni – ha perso la maggioranza assoluta, proprio a causa del successo elettorale dell’Hdp, e non è riuscito a formare un governo di coalizione. Da quando l’Hdp è entrato in Parlamento, è stato colpito da diversi attacchi terroristici. A giugno durante un comizio politico a Diyarbakir, sono state uccise quattro persone e ferite 400. A fine luglio un altro attentato contro un centro culturale curdo a Suruç – attribuito allo Stato Islamico – ha visto 32 vittime.
La questione curda è geopoliticamente cruciale, a questo punto decisiva anche per le sorti del paese che si avvia al voto in un clima di censura sempre più esasperato: molti i giornalisti licenziati o processati per le loro parole. Nei giorni scorsi quattro canali tv digitali sono stati oscurati. L’arresto di Bulet Kenes, direttore del giornale d’opposizione Today’s Zaman, ha poi segnato un’escalation. Il giornalista è finito in manette per aver scritto un tweet critico nei confronti di Erdoğan (“Sua madre si sarebbe vergognata del proprio figlio”): il suo fermo è un colpo al cuore del diritto di critica, l’ennesimo, dopo la stretta ai social network ai tempi di Gezi Park.
Alla vigilia delle scorse elezioni giornalisti di tutti il mondo hanno firmato una petizione per la libertà di stampa in Turchia. Oggi, più di ieri, la situazione turca chiede il contributo di tutti.