Il mio popolo è stato il più tradito di quest’epoca. Dai deserti del salnitro, dalle miniere sotomarine di carbone, dalle alture terribili dove sta il rame estratto con lavoro inumano dalle mani del mio popolo, sorse un movimento liberatore di grandiosa ampiezza. Quel movimento portò alla presidenza del Cile un uomo chiamato Salvador Allende.
(Pablo Neruda).
Il 24 ottobre 1970, Salvador Allende viene eletto democraticamente presidente del Cile, dopo le votazioni del 4 settembre che non portarono a una maggioranza al primo turno, le due Camere del parlamento in seduta congiunta, come previsto dalla costituzione cilena, scelgono Allende, l’uomo che sogna di dare al suo popolo una vita “degna e migliore”.
Salvador Allende, nato a Valparaíso nel 1908 resta presidente della sua terra fino alle dieci del mattino dell’11 settembre del 1973, quando un oscuro golpe di stato spezza la sua vita nel Palazzo della Moneda.
In un momento di crisi istituzionale profonda, con un paese dilaniato dallo scontro sociale e politico Allende vuole dare la libertà
al suo popolo di scegliere -con un plebiscito sulla legittimità dei suoi poteri e del suo governo- la linea che il partito dell’unità del presidente sta attuando e che ha nutrito riforme come la nazionalizzazione del rame, la distruzione dei monopoli, e la riforma agraria.
Per bloccare questo respiro di futuro quello che lui aveva ritenuto un uomo d’onore Pinochet, comandante in capo dell’esercito, -eletto dopo la cospirazione che portò all’omicidio di René Schneider Chereau- lo inganna rassicurandolo sulla situazione e attua il tradimento più infimo, l’ignominia della storia, l’istituzione nel sangue di una dittatura, quella che Allende chiama in quei momenti ” il nostro olocausto”, realizzato con l’appoggio e la benedizione dell’amministrazione Nixon, della Cia e di Kissinger.
Allende in quelle ore tiene tre discorsi alla radio e le sue parole ricostruiscono attimo dopo attimo la caduta del Cile: prima la speranza riposta verso i Soldati della Patria che avevano giurato di servire il loro paese, poi la coscienza della realtà dolorosa, infine il rifiuto di abbandonare il proprio ruolo per fuggire e fare salva la propria vita, perché solo resistere in difesa della libertà del popolo per il presidente Allende significava vivere, nessun aereo su cui salire, nessuna terra su cui esiliarsi, nessun altrove.
La lealtà di un presidente è Salvador Allende, il suo suicidio non è un omicidio invisibile ma la speranza di un domani per la sua terra, la sua sepoltura anonima per 17 anni nel cimitero di Vina del Mar la paura dei vigliacchi:
“Lavoratori della mia patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro, in cui il tradimento ha la pretesa di imporsi. Continuate a esser certi che, più presto che tardi, riapriranno le grandi strade per le quali passerà l’uomo libero, per costruiire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà intuile. Sono certo che, perlomeno, sarà una lezione morale che castigherà la slealtà, la vigliaccheria e il tradimento”. (Salvador Allende).