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Un nuovo piano per i migranti?

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Finalmente qualcosa si muove in quest’Europa che non riesce  a fare i passi avanti decisivi per trasformarsi in uno Stato federale come tutti i grandi politici della seconda guerra mondiale e del dopoguerra (da De Gasperi a Schumann e così via) avevano intuito e sostenuto, sia pure con tesi differenti, se si esclude il generale Charles De Gaulle sempre teso a cantare la grandeur del suo Paese.

La Commissione, presieduta dal lussemburghese Jean Claude-Juncker, ha preparato un nuovo piano di emergenza per gestire i grandi flussi migratori. L’obbiettivo – è stato comunicato ai giornalisti – è quello di fornire soluzioni comuni e condivise da tutti i Paesi membri dell’Unione europea che regolino l’arrivo dei migranti sia nel breve periodo che in quello medio-lungo. Il pacchetto sarà presentato  ai ministri dell’Interno dei Paesi membri che si riuniranno a Bruxelles il 14 settembre prossimo e che dovranno approvarlo in maniera definitiva.

Il nuovo piano, già designato dai media come piano Juncker sui migranti è diviso in due parti: la prima include misure di emergenza da adottare immediatamente per far fronte alla situazione che si è determinata nelle ultime settimane. Essa prevede quote obbligatorie di richiedenti asilo che i 28 Paesi dell’Unione europea devono suddividersi. Già a maggio Juncker aveva chiesto ai leader nazionali di prendersi carico dei 40mila rifugiati sbarcati in Italia(24mila) e Grecia(16mila): a causa dell’opposizione di alcuni Stati-tra i quali Ungheria, Spagna,Polonia, Slovacchia e Paesi baltici – il progetto non era entrato in vigore. Al suo posto era stato approvato un piano di accoglienza volontaria e non più obbligatoria, che di fatto esonerava i Paesi non disposti ad accettare i migranti dal farlo.

Oggi la situazione è, tuttavia, cambiata. A vivere l’emergenza, provocata dall’arrivo dei migranti, non sono più soltanto i Paesi di primo approdo (e quindi principalmente Italia e Grecia) ma anche gli Stati dell’Europa centrale-tra i primi l’Ungheria e di qui i disordini alla stazione ferroviaria di Budapest-che vengono attraversati dai flussi diretti in Germania e nel Nord Europa.

I loro governi, dunque, sono più propensi ad accettare la redistribuzione dei migranti, per questo la Commissione è tornata alla carica. Le regole che entrano in vigore con il piano Juncker prevedono che ogni richiedente asilo debba rimanere nel Paese in cui gli hanno riconosciuto lo status,cioè generalmente quello in cui approdano per primi. Essendo però questi Paesi generalmente quelli mediterranei, quindi non la destinazione finale di chi si sposta, capita spesso le autorità locali omettano di registrare i nuovi arrivati, di modo da permettere loro di spostarsi verso Nord senza doverseli prendere a carico.

La Commissione europea vuole invece fare pressione su Italia, Grecia e Ungheria perché registrino tutti i nuovi entrati, senza essere poi tenuti a farli rimanere nei loro territori.  Le persone registrate, infatti, secondo il piano della Commissione, potranno venire distribuite automaticamente tra i 28 membri dell’Unione europea che prevede l’introduzione di quote obbligatorie alle quali nessun Paese comunitario potrà sottrarsi. La partita peraltro non è chiusa neppure ora che insieme la  cancelliera tedesca Angela  Merkel e il presidente francese Francois Hollande hanno annunciato al mondo le decisioni europee.   Sono imminenti elezioni politiche in molti Paesi europei in cui sono presenti partiti duramente anti-Ue come il Portogallo, la Polonia e la Spagna e la Gran Bretagna dell’ultra conservatore Cameron e c’è da chiedersi se l’influenza del binomio Merkel-Hollande e soprattutto della prima dei due riuscirà a far breccia. Ma è inevitabile che i maggiori Paesi pongano i soci dell’Est davanti a responsabilità che non possono più essere eluse e che sono l’altra faccia degli aiuti generosi ricevuti dall’Unione europea. Le prossime elezioni greche possono finire bene per gli altri europei (con un governo dei moderati guidati da Tsipras o da un altro leader ) ma possono anche governare all’ingovernabilità di un Paese che ha già l’acqua alla gola per le sue vicissitudini finanziarie e anche per il transito massiccio dei migranti.

E poi verrà quel momento cruciale per l’Europa che sarà il referendum britannico sull’appartenenza all’Unione europea, nel 2017 o forse già l’anno prossimo. Il primo ministro inglese Cameron riprenderà tra poco un difficile negoziato con i soci continentali, ma sulle richieste avanzate dai suoi ministri(fermare il flusso dei cittadini europei che vanno a cercar lavoro e protezione sociale in Gran Bretagna) non gli sarà facile ottenere concessioni significative.

Piuttosto quale effetto otterranno le immagini dei migranti che occupano il tunnel sotto la Manica o quelle dei diseredati che non lasciano Calais pur di cercare un modo per attraversare il Canale? La Germania, a sua volta,  vuole fortemente che Londra resti nell’Unione europea ma non può sacrificare la libera circolazione dei cittadini. E teme soprattutto che l’aumento della pressione migratoria possa rovesciare in senso negativo i sondaggi ancora oggi favorevoli alla permanenza in Europa. La Commissione proporrà la creazione di una lista di Stati sicuri in cui sia lecito rimpatriare coloro a cui la richiesta di asilo viene negata. A Frontex, l’agenzia europea per le frontiere, verranno erogati altri fondi per gestire i rimpatri nel Mediterraneo e catturare gli scafisti in acque internazionali.


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