Tira davvero una brutta aria in Turchia. “Erdogan rischia la guerra civile” scrive in prima pagina il quotidiano tedesco Die Welt. La tensione è altissima nel Paese che il 20 novembre andrà alle urne per le elezioni legislative, indette per sbloccare l’impasse determinata dal risultato delle elezioni del 7 giugno scorso , in cui l’Akp di Erdogan ha perso la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Si sapeva che ci sarebbe stata una brutta campagna elettorale , ma quello che sta accadendo in questi giorni va oltre le previsioni più pessimistiche.
Il clima è particolarmente pesante per i giornalisti. I nazionalisti che sostengono il presidente Erdogan si scagliano contro il mondo dell’informazione, colpevole, ai loro occhi, di non sostenere in modo convinto il nuovo sultano ottomano, grande ammiratore dello stile autoritario di Putin e del suo emulo ungherese Orban.
La morte, nello spazio di tre giorni, di 30 uomini della sicurezza (militari e poliziotti) impegnati nella repressione di militanti curdi del Pkk nella parte sud orientale della Turchia ha scatenato manifestazioni di sostegno al governo che sono degenerate in attacchi alle sedi dei partiti politici e degli organi di informazione.
A Istanbul e Ankara ci sono stati assalti alle sedi dei partiti oppositori dell’AKp di Erdogan. Colpiti l’ HDP (il Partito democratico del popolo, filo curdo) e il CHP (Partito repubblicano del popolo).
La sede del quotidiano Hürriyet (Libertà) è stata presa d’assalto due volte nel giro di tre giorni, con colpi di armi da fuoco e il lancio di pietre. Hanno fatto argine solo gli uomini della vigilanza, mentre la polizia sarebbe arrivata solo dopo trenta minuti. “Se i violenti fossero entrati nella redazione non so che cosa sarebbe accaduto”, ha detto il direttore Sedat Ergin. “Fatico a credere che sto esercitando il mio lavoro di giornalista in una democrazia, perché la paura e la democrazia non possono convivere”, ha aggiunto.
Lanci di pietre e bottiglie anche contro la sede del giornale Sabah e della televisione privata ATV. La polizia ha fatto fatica a contenere la furia dei manifestanti, decisi a entrare nelle redazioni.
L’Associazione dei giornalisti turchi ha pubblicato un documento di condanna contro questi attacchi.
Intanto Cem Küçük, un columnist del quotidiano Star, sostenitore del partito di Erdogan, si è scagliato contro Ahmet Hakan, editorialista di Hürriyet, con parole di una violenza inaudita: “Se vogliamo, ti possiamo schiacciare come una mosca. Finora abbiamo avuto pietà e tu sei ancora vivo”. Agli occhi di Küçük, la colpa di Hakan, è quella di aver sostenuto il Pkk. “La nazione turca ha preso nota del suo tradimento e lui certamente la pagherà cara”, ha scritto Küçük. Hakan ha denunciato il collega (ma si fatica a usare questa parola) per “istigazione all’omicidio”.
La pressione del regime si fa sentire anche nei confronti dei giornalisti stranieri. La free lance olandese Frederike Geerdink, già arrestata due volte nel corso dell’anno, sarà espulsa dalla Turchia con l’accusa di aver postato sui social media dei messaggi a sostegno del partito curdo Pkk. Per lo stesso motivo, la scora settimana erano stati espulsi due giornalisti britannici.
Tutto questo sta accadendo nel silenzio colpevole dell’Europa. Speriamo non si debba attendere qualche fatto tragico, magari a spese dei giornalisti, per farla uscire dall’afasia.