Oggi sono trenta. Trenta anni senza Giancarlo Siani. Per molti, è triste dirlo, al di là del ricordo non cambia nulla. Come lui Giovanni, Mauro, Peppino, Cosimo, Mario, Giuseppe, ancora Mauro e Beppe. Nove vittime che piangiamo ogni anno nel giorno tragico della morte, per poi chiuderne il ricordo nel dimenticatoio, fra i “risolini” di chi ancora oggi afferma “Quello se le andava a cercare…”. Oppure chi ti guarda e ti dice, facendoti gelare il sangue, “Chi te lo fa fare?”. Come se ad un avvocato dicessimo di non presentare una memoria, ad un infermiere di non fare una puntura, ad un ingegnere un progetto. Che cosa cambia dopo il ricordo e la ricorrenza? Per alcuni nulla.
Per altri invece ogni giorno le parole si fanno intrise di sangue, gli articoli diventano incubi, le inchieste scottanti e che costano carissime a chi le realizza.
Insomma, fare informazione, e farlo con tutti i crismi del giornalismo d’inchiesta – proprio quello che non guarda in faccia nessuno – oggi in Italia costa carissimo. Cercare di assolvere al proprio diritto-dovere, sembra sempre più un miraggio e il prezzo che costa, cioè l’isolamento, il sangue, le denunce e la sofferenza nel muovere le penne, è ciò che sconvolge nell’Italia del 2015. Basti pensare ai dati forniti da Ossigeno per l’Informazione che, dal 2006 allo scorso anno, ha censito 2060 casi di minacce, attentati, avvertimenti ai danni di migliaia di giornalisti. E la situazione volge sempre al peggio, visto che – come si apprende dalla Relazione – nei primi dieci mesi del 2014 sono stati registrati 421 atti di violenza o di intimidazione, quasi tre ogni due giorni.
Così quelle penne da strumento di libertà si trasformano in un cappio, in solitudine urlante, in aggressione fisica, in esperienze – come quella di chi scrive – che gridano vendetta.
D’altronde un giornalista che non scrive la verità, che non si guarda intorno, che non ha il coraggio di denunciare, non è solo una persona che semplicemente non sta facendo il proprio dovere nei confronti dell’opinione pubblica, ma avrà anche la responsabilità di portarsi sulla coscienza i dolori, le sopraffazioni e le ingiustizie subite dalle migliaia di cittadini vittime delle mafie, del malaffare, della corruzione.
Sembra difficile andare avanti, eppure un modo ci sarebbe: far camminare sulle nostre gambe le loro idee sempre, senza pulirci la coscienza solo e soltanto nei tristi anniversari. Idee libere di giornalisti liberi. Con la voglia di fare squadra, perché da soli non siamo nessuno, ma insieme siamo veramente forti. Se siamo soli siamo obiettivo, e un obiettivo troppo facile, se siamo insieme e facciamo realmente squadra allora sarà molto più difficile colpirci, molto più difficile tapparci la bocca.
Perché puoi spezzare una matita, ma spezzarle tutte, se vanno nella stessa direzione, quello non potrà avvenire mai.