A New York Russia e Stati Uniti continuano il braccio di ferro diplomatico sul futuro della Siria, intanto Parigi effettua il primo raid sullo Stato Islamico.
Si complicano i rapporti tra Russia e Stati Uniti, all’alba dell’incontro tra il presidente Usa Barack Obama e quello russo Vladimir Putin in sede Onu a New York. Mosca, infatti, coordinerà i propri servizi di sicurezza e quelli di intelligence con Siria, Iran e Iraq nella lotta contro l’Isis. A rivelarlo alla stampa, è stato ieri Saad al-Hadithi, portavoce del primo ministro iracheno Haider al-Abadi, specificando che il comando di intelligence avrà sede a Baghdad.
“E’ un comitato di coordinamento tra i quattro paesi – ha dichiarato al-Hadithi – con i rappresentanti di ogni paese, nel campo dei servizi segreti militari e per la condivisione e analisi delle informazioni”. Obiettivo della cellula sarà “monitorare i movimenti di terroristi … e degradare le loro capacità”. Una necessità, quella di coordinarsi con Mosca, che a detta di al-Hadithi nasce dalla “crescente preoccupazione per la presenza di migliaia di terroristi russi impegnati in atti criminali con Daesh (Isis)”.
La notizia dell’inclusione di Damasco nel comitato – che, assieme a Baghdad, è maggiormente coinvolta nella presenza del cosiddetto Califfato – non è stata gradita dagli Stati Uniti, che per bocca del portavoce del comando militare Usa di stanza in Iraq ha espresso perplessità sulla partecipazione di Bashar al-Assad al coordinamento: “Ci rendiamo conto – ha detto il colonnello Steve Warren all’AFP – che l’Iraq ha un interesse a condividere informazioni sull’Isis con altri governi della regione che lo stanno combattendo, ma non sosteniamo la presenza di funzionari del governo siriano, parte di un regime che ha brutalizzato i suoi cittadini”.
E dispiacere per la mossa è stato espresso anche dal segretario di Stato Usa John Kerry poco prima di incontrare, ieri, il suo omologo russo Sergei Lavrov a margine dei lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “Penso – ha dichiarato Kerry – che la cosa fondamentale è che tutti gli sforzi debbano essere coordinati. Questo non è ancora coordinato. Ci sono preoccupazioni da parte nostra su come si stia andando avanti, ma questo è esattamente quello per cui ci stiamo sedendo a parlare ora”.
Continua, quindi, il braccio di ferro tra Russia e Stati Uniti per la strategia da adottare in Siria e gli obiettivi finali di qualsiasi operazione nel paese. Se il recente aumento di truppe e funzionari russi a Latakia a sostegno del presidente Bashar al-Assad ha allarmato Washington, il fallimento del disegno statunitense di addestrare i ribelli cosiddetti “moderati” in funzione anti-Isis – ma soprattutto in funzione anti-Assad – ha lasciato ampio spazio a Mosca per meglio insinuarsi nelle maglie del conflitto siriano. Una strategia che, architettata quattro anni fa, non è stata affatto “coordinata” con la Russia.
Ci prova, invece, a far risorgere il blocco occidentale anti-Assad la Francia, che ieri ha annunciato di aver effettuato il primo raid in Siria su obiettivi Isis: a essere colpito è stato un campo di addestramento, identificato – stando a quanto dice l’Eliseo – grazie ai voli di ricognizione “degli ultimi 15 giorni”. Un raid al quale ne seguiranno altri, ha promesso il presidente François Hollande dal Palazzo di Vetro, “ogni volta che la nostra sicurezza nazionale sarà in gioco”. Parigi continuerà quindi a coordinarsi con la coalizione internazionale, che già bombarda obiettivi Isis in Iraq e in Siria, senza però aprire di un millimetro ad Assad.
Quanto all’Iran, storico è stato l’incontro di ieri tra il suo ministro degli Esteri Mohamad Javad Zarif e il suo omologo John Kerry: nel colloquio, infatti, si è parlato di nucleare, ma anche di Siria. Teheran si è fatto portavoce di una proposta russa, già rivelata nei giorni scorsi, di inclusione di Bashar al-Assad “per un certo periodo” nell’eventuale transizione politica che dovrebbe seguire l’eventuale sconfitta dell’Isis e di tutti i gruppi a essa legati. L’importanza di Assad nel dopo guerra civile è stato ammesso anche da Germania, Turchia e, a sorpresa, anche dagli Stati Uniti, che per bocca del sottosegretario di Stato Wendy Sherman avevano inviato segnali positivi al piano russo.
Se la soluzione proposta da Mosca sembra l’unica fattibile rispetto alla realtà sul terreno, resta un mistero come Washington potrebbe riuscire a convincere i suoi alleati del Golfo, Arabia Saudita e Qatar in testa, a cedere la vittoria all’odiato asse sciita. Si fa sempre più possibile l’eventualità del baratto Siria-Yemen negli ambienti diplomatici arabi, dove Sanaa – tolto ogni sostegno iraniano ai ribelli sciiti Houthi – verrebbe sacrificata da Teheran e tornerebbe a essere un ubbidiente vassallo di Riyadh.