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Roberto Morrione, un esempio anche per chi giornalista non è ma vuole un’Italia migliore

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Ho riguardato in questi giorni alcune “storiche inchieste” di Roberto Morrione  e ho riletto articoli, saggi da lui firmati. Dai suoi lavori traspaiono il suo talento, i suoi pensieri “lunghi”, la levità della sua esposizione pedagogica. La profondità delle riflessioni. Per chi lo ha conosciuto e ha con-diviso un pezzo di cammino Roberto è anche il suo sorriso, la sua voglia di vivere, l’amore dolce e ruvido insieme che metteva in tutte le cose che faceva.

Con la sua vita e il suo impegno, Roberto è un prezioso riferimento, un esempio, per quei giornalisti che non vogliono rinunciare alla difficile strada dell’inchiesta e per i tanti giovani che vogliono mantenere accesa la luce dell’informazione pulita e coraggiosa.

Un esempio anche per chi giornalista non è ma vuole un’Italia migliore. Il premio giornalistico che porta il suo nome è riservato ai giovani ed è giunto alla sua quarta edizione. Roberto ne è sicuramente felice: ci teneva molto ai giovani. Roberto era moderno e insieme controcorrente.

In questi ultimi quattro anni molte “emergenze” si sono aggravate: la povertà e i flussi migratori, il pianeta che muore, il terrorismo anche nelle sue nuove efferate forme, la violenza e le guerre, la questione delle giovani generazioni e del futuro, l’Europa che non è l’Europa di Altiero Spinelli. Ci manca un’analisi lucida penetrante e una “visione concreta” di quello che si deve e non si deve fare. Roberto ci avrebbe aiutati.

Roberto ed io (insieme a molti altri) ci siamo incrociati nell’impegno testardo per la verità e la giustizia in particolare per l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994). Giorgio Alpi è morto di domenica (come Ilaria): il 10 luglio 2010. Roberto scrisse un ricordo intenso emotivamente forte e durissimo nel giudizio sui responsabili della non verità e non giustizia. Due anni prima aveva curato il libro “Giornalismi e Mafie – alla ricerca dell’informazione perduta.

Alla ricostruzione del duplice omicidio di Ilaria e Miran (di Giorgio Alpi, Luciana Ricciardi, e mariangela Gritta Grainer), Roberto diede un titolo fortissimo “L’omicidio di Ilaria Alpi: alta mafia fra coperture, deviazioni, segreti”: avevo riportato con dovizia di documentazione tutta la lunga e tragica storia, compresa la vicenda del falso testimone Ali Rage detto Jelle, vicenda che esplode ben 7 anni dopo, febbraio 2015 “chi l’ha visto? con la clamorosa intervista a Jelle. In sintesi abbiamo sostenuto che:

Sappiamo già quel che è successo quella domenica 20 marzo 1994
Sappiamo quel che è successo prima e anche dopo
Sappiamo il perché, forse anche da chi era composto il commando assassino ma non sappiamo ancora con certezza chi ha ordinato l’esecuzione e chi ha coperto esecutori e mandanti.
Sappiamo anche che la testimonianza di Jelle contro Hashi potrebbe essere falsa mentre un cittadino somalo è in carcere forse innocente e di certo due cittadini italiani, Ilaria e Miran, sono stati assassinati e ancora non hanno avuto giustizia.

Ecco alcuni passi di quanto Roberto dedica a Giorgio Alpi:
“……..Non dimenticheremo Giorgio Alpi, il dolore, la dignità, l’orgoglio che ha trasfuso in 16 interminabili anni per onorare quella figlia partita un giorno per la Somalia e mai più tornata…..
….Sedici anni affrontati da Giorgio e Luciana, sempre insieme, spalla a spalla, per avere piena luce su quell’agguato nelle strade di Mogadiscio che spense la vita di Ilaria e di Miran Hrovatin, uccisi mentre si apprestavano a diffondere dal TG 3 la verità acquisita con il loro lavoro di cronisti. Una verità faticosamente emersa nelle sue linee generali e riconosciuta finalmente dal GIP di Roma che ha rifiutato l’archiviazione delle indagini, chiesta dalla Procura, confermando …………che Ilaria e Miran furono uccisi in un agguato su commissione per impedire che l’inchiesta condotta sui traffici d’armi e di rifiuti tossici fra l’Italia e la Somalia fosse portata a conoscenza dell’opinione pubblica. Le indagini dunque proseguono e già a novembre si aprirà un nuovo processo per fare luce sul depistaggio che, attraverso un testimone somalo oggi accusato di calunnia, ha portato in carcere un altro somalo con l’accusa di aver fatto parte del commando omicida. Un solo condannato, dunque, quasi certamente vittima di una macchinazione, in 16 anni segnati da un muro di omertà, false testimonianze, indagini di varie Procure arenate o chiuse senza plausibili motivi, inchieste di polizia bloccate senza valide motivazioni, destituzioni improvvise di magistrati particolarmente attivi, come avvenne alla Procura di Roma. E lo sporco ruolo giocato dai servizi segreti,
………Ed è a quella lunga lotta contro il muro di gomma del potere che Giorgio Alpi, insieme con Luciana, ha dedicato giorno dopo giorno tutto il suo impegno, dando vita anche al Premio intitolato a Ilaria ( che ha chiuso dopo la ventesima edizione 2014 n.d.r.) dedicato alle inchieste televisive in cui Ilaria credeva e alle quali si era dedicata nel TG 3 con passione, sensibilità e coraggio.

Giorgio Alpi capiva infatti perfettamente che alla battaglia per fare piena luce sulla morte di Ilaria si collegava strettamente l’impegno di non far morire quella scelta di giornalismo d’inchiesta, oggi costantemente insidiata, spesso colpita dallo stravolgimento del mercato, dall’appiattimento televisivo, dalla crescente subordinazione al potere alimentata dal conflitto d’interesse che domina il panorama italiano. ….”

Ho voluto ricordare queste riflessioni di Roberto in occasione del quarto premio giornalistico a lui dedicato perché sono esemplari e anche di stringente attualità. Che cosa altro aggiungere?

Grazie Roberto, sei sempre con noi.


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