Di Pino Salerno
Diciamo la verità: il discorso col quale Matteo Renzi ha chiuso la settimana della Festa nazionale dell’Unità ai Giardini Montanelli di Milano (uno spazio piccolo al centro della città, molto diverso dalle Feste nazionali emiliane) ha ampiamente soddisfatto le attese dei suoi fan, ma ha deluso chiunque abbia voluto cercarvi indicazioni politiche importanti. Si dirà che in fondo si trattava pur sempre di un comizio, e non certo di un discorso alle Camere. Vero, ma il premier non è riuscito a non cedere alla tentazione della retorica e delle formule demagogiche che da qualche tempo va ripetendo come dei mantra. A Milano, ha perfino deciso di accompagnare il suo discorso con fotografie e alcune slide, per illustrare meglio non solo i concetti e le auto proclamazioni di bravura, ma anche per spingere l’emozione del pubblico. E una delle foto era quella di Aylan e di suo fratello annegati nel mare turco insieme con la madre. Renzi l’ha usata, abbastanza vergognosamente, per ragioni di lotta politica interna, per mandare un messaggio a Salvini e Grillo, dividendo gli uomini, che accolgono, dalle bestie, che uccidono. Renzi ha sbagliato, come uomo e padre, come segretario del Pd e soprattutto come premier: la morte, soprattutto quella dei bambini, non può mai essere piegata a ragioni di retorica politica, occorre essere cauti, attenti, rispettosi. Altrimenti si diventa esattamente come coloro che si contestano e si criticano, e si qualificano come “bestie”.
Ribadito che sul piano delle novità politiche il taccuino del cronista resta clamorosamente bianco, vediamo quali sono stati i mantra di Renzi, che tanto hanno scaldato il pubblico del Pd. Ne scegliamo i più significativi, per non tediare il nostro lettore e la nostra lettrice.
Primo mantra: l’Italia divisa in due, “chi dice sì e chi dice no”.
È una sorta di mantra del metodo renziano per eccellenza, usato spesso per denigrare gli avversari, interni ed esterni, e soprattutto chi osa criticarne le scelte, nel merito. Due esempi, citatissimi da Renzi, anche al comizio di chiusura alla Festa nazionale dell’Unità: il presunto successo dell’Expo e il presunto successo alle elezioni regionali, ma l’elenco è interminabile. Secondo Renzi, insomma, esiste una parte di italiani, anzi di ceto politico, che normalmente “gufa” contro ogni iniziativa del premier, pur sapendo, afferma, che “così denigra l’Italia”. Sull’Expo, bello, buono e giusto, ricco e di grande successo, non è ammessa alcuna critica, naturalmente, occorre restare nel recinto del giudizio di Renzi. Ma il premier, che tanto esalta le virtù dell’Expo, dimentica di dire almeno due cose, che è stato tenacemente voluto da Romano Prodi e che la rete di corruzione sottostante è stata smantellata dall’intervento della magistratura. Sulle elezioni regionali, Renzi ha fatto del suo meglio per nascondere la verità: è vero che la configurazione delle regioni governate dal Pd si è allargata, ma nulla ha detto che il Pd ha vinto grazie a un terzo degli elettori dell’Emilia (a novembre del 2014), un terzo degli elettori campani, un terzo degli elettori pugliesi, meno della metà degli elettori toscani, e così via. Il mantra di Renzi è la vittoria, con qualunque risultato e con qualunque flusso elettorale, e se arrivano “voti dall’altra parte”, meglio ancora. Insomma, ancora una volta Renzi ha detto pubblicamente che forse una parte del suo stesso partito avrebbe volentieri “gufato”e preferito perdere.
Secondo mantra: sulle riforme “accetto tutto ma non i veti”.
Anche in questo caso usiamo due esempi clamorosi: la riforma costituzionale e la riforma del mercato del lavoro. Sulla questione delicatissima della riforma costituzionale del Senato, perché ridefinisce i rapporti tra poteri istituzionali, Renzi ha di nuovo ribadito il mantra del potere della maggioranza, anche se le sue scelte appaiono con tutta evidenza del tutto sbagliate e irrazionali. Sulla riforma del Senato, Renzi lo ha ribadito: “se si usa la riforma costituzionale per dire no, per ripartire da capo, si sappia che la forza di chi dice sì è più grande. Non accettiamo veti”. È evidente che l’obiettivo di Renzi era quello di delegittimare ancora una volta il tentativo della minoranza interna di riportare un minimo di razionalità in una riforma del Senato sconclusionata e insensata. Il mantra renziano dei veti, risuonato anche nel comizio di Milano, non entra però nel merito delle obiezioni critiche del tutto ragionevoli e fondate di Vannino Chiti, ad esempio. No, il confronto non è mai nel merito, la razionalità non è un valore, per le scelte di Renzi. E analogamente a proposito della riforma del mercato del lavoro, il mantra coincide coi numeri truccati, che non piacciono ai sindacati, i quali avrebbero voluto utilizzare un potere di veto, “che noi non abbiamo concesso”. L’ultima polemica infatti è sul numero dei posti di lavoro effettivamente creati con l’introduzione del Jobs Act, numeri talmente esigui da far vergognare. Tanto è vero che Renzi ha citato solo i contratti diventati a tempo indeterminato e a tutela crescente.
Terzo ed ultimo mantra: “non è vero che il Pd sia in crisi”.
Sulla salute del Partito democratico Renzi ha usato tre esempi per convalidare il suo mantra. Il primi esempio è relativo ai dati del 2 per mille. Il Pd si è aggiudicata la torta maggioritaria dei dieci milioni di euro, recuperati sulla tassazione generale, perché, dice, ben 550mila cittadini hanno deciso di devolverlo al Partito democratico. Come sia possibile che nel giro di un anno il Pd sia passato da soli 200mila euro a 5 milioni e mezzo, Renzi si guarda bene dal dirlo, così come omette un altro dato importante, quello relativo agli iscritti. Invece rilancia: “l’anno prossimo passeremo dalle attuali seimila sezioni a diecimila”. Naturalmente, nulla ha detto sul caso inquietante delle sezioni romane, ad esempio, chiuse per evidenti ragioni di contiguità con gruppi dirigenti corrotti, e nulla ha detto sull’abbandono silenzioso del Partito democratico in molti territori. Anzi, ha voluto stigmatizzare le critiche di D’Alema e di Bersani, sul crollo del “sentimento” di molti militanti democratici. In fondo, loro due sono sempre stati perdenti, non hanno legittimazione alcuna a criticarmi come segretario.
In conclusione, nel comizio di Renzi, il mantra generale ha avuto la meglio: l’Italia va come un treno in economia, siamo un paese solidale coi migranti, noi siamo quelli delle riforme che cambiano il paese, noi siamo il partito più grande d’Europa. E su queste parole, da Monza, è arrivato l’immancabile endorsement del presidente della Ferrari e amministratore delegato della FCA, Sergio Marchionne. Nihil sub sole novi, nulla di nuovo sotto il sole di Milano.