Settembre è ormai arrivato e, per quanto la ripresa sembri timida e lenta, le scadenze per il parlamento e il bel Paese si accumulano sui tavoli e vanno rispettate. Tra di esse la riforma del Senato, che è in cima alla lista dei cambiamenti promessi dal nostro presidente del Consiglio-segretario del partito di maggioranza relativa e che rappresenta, nello stesso tempo, il cambiamento decisivo dell’ordinamento costituzionale immaginato da Renzi e il compimento necessario per incominciare a pensare, sia pure ipoteticamente, alle prossime elezioni politiche generali che a quel punto potranno aver luogo negli anni a venire, nel 2018 secondo i desideri del governo attuale ma anche nel 2017, o addirittura nel 2016, se le cose andranno secondo i desideri di chi ha maggior potere formale e sostanziale nella penisola.
L’intervista che su La Repubblica di oggi Liana Milella ha fatto al presidente dei costituzionalisti italiani Alessandro Pace è significativa sui problemi che sono sul tappeto e che vedremo dipanarsi nelle prossime settimane. Milella chiede al prof. Pace:” Bisogna lasciare al progetto la versione della Camera o riaprire la possibilità di cambiare l’articolo 2?” e l’interessato risponde con la consueta chiarezza:” Bisogna senza alcun dubbio la partita degli emendamenti per una duplice ragione. Primo, perché c’è già un parere della giunta del regolamento della camera del 1993 presieduta da Napolitano che decise l’ammissibilità di un emendamento soppressivo di quanto votato in precedenza dalle due Camere trattandosi di una modifica dell’articolo 68 della Costituzione.” “Lei-prosegue la giornalista-trova somiglianze tra il caso attuale e quello del 1993?” E il costituzionalista risponde:” Certamente sì. Perché in entrambi i casi,si tratta di revisioni costituzionali. In occasione dell’emendamento del 1993 si sottolineò che la norma regolamentare sugli emendamenti delle leggi ordinarie non potesse applicarsi a quelle costituzionali. Nel caso attuale, è ammissibile un emendamento totalmente modificativo di quello approvato dalla Camera. “Ne fa una questione di regolamenti o di sostanza? chiede Liana Milella e il prof. Pace risponde:”Di sostanza e anche di più.
Così come l’articolo 2 del ddl Renzi-Boschi è stato formulato andrebbe senz’altro incontro alla declaratoria di incostituzionalità in quanto la Consulta, già nella sentenza 1.146 del 1988, ha affermato che anche le leggi costituzionali non possono violare i principi costituzionali supremi, tra i quali, in questo caso, la sovranità popolare.”
” Mi faccia capire. Se la riforma dovesse passare così come è adesso potrebbe essere fermata dalla Corte Costituzionale. E perchè?” prosegue la Milella. E la risposta di Pace è molto chiara:” Se al Senato si dovesse confermare la funzione legislativa ma non gli si riconoscesse la elettività, ciò urterebbe contro l’articolo 1 della Costituzione che, proclamando la sovranità popolare nelle forme e nei modi da essa previsti indirettamente riconosce ai cittadini il diritto di eleggere i parlamentari a cui sia demandato il compito di approvare le leggi che i cittadini dovranno rispettare. Ciò è stato confermato nella sentenza numero 1 del 2014 relativa al cosiddetto Porcellum, la legge elettorale approvata qualche anno prima. “Ma se al Senato si attribuisse la funzione legislativa, non gli si dovrebbe altresì far votare la fiducia al governo? “chiede infine la Milella. E lo studioso risponde: “No, per due ragioni. La prima è che la doverosa elettività del Senato discende dall’articolo 1 della Costituzione. Mentre la titolarità del rapporto fiduciario a una sola delle Camere è una libera scelta del legislatore costituzionale. Che però, in questo caso, ha un notevole fondamento politico-costituzionale in quanto mentre la Camera ha rappresentatività generale dei cittadini italiani, il Senato rappresenterebbe soltanto gli enti territoriali.” L’intervista di Pace merita di essere adeguatamente sotto lineata perché è caratterizzata da grande moderazione e si fa persino carica delle ragioni che hanno condotto l’attuale maggioranza parlamentare a modificare i meccanismi di bi-camecameralismo perfetto che hanno caratterizzato dall’inizio la carta costituzionale dell’immediato dopoguerra.