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“Porta a Porta/Casamonica”. No a censure. Ma basta con lo strapotere di Vespa

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Lo scandalo in sé non è tanto un’intera puntata passata ad ascoltare le facezie dalla bocca dei familiari del “patriarca” Casamonica, già celebrato con esequie degne di un “Padrino” nella chiesa di Don Bosco a Roma. Lo scandalo è perché ancora la RAI continua ad appaltare l’approfondimento sui maggiori temi di attualità, in seconda serata, ma ogni tanto anche in prima, su Raiuno, la rete ammiraglia, al pensionato Bruno Vespa. Il “Dominus” assoluto dell’informazione serale, amato da Berlusconi, temuto e coccolato dai leader del centrosinistra, Renzi compreso, può permettersi con il suo gruppo ormai autonomo da qualsiasi “controllo editoriale” di proporre argomenti, ospiti e metodologie di comunicazione spesso criticabili e, comunque, improntati alla ricerca di audience. Un tempo, la sua trasmissione era co-diretta dal TG1 e Raiuno, ma come hanno spesso denunciato i colleghi dei vari CDR del TG1, Vespa con la sua autorevolezza e il suo potere politico ha goduto dentro l’azienda di Viale Mazzini di una libertà d’azione unica, cosa che invece non è stata permessa ad altri conduttori e programmi di approfondimenti (come fu per Enzo Biagi, Michele Santoro o Fabio Fazio).

Vespa si è conquistato anche uno spazio di agibilità politico-istituzionale, diventando nei fatti il “Terzo ramo del Parlamento”, mediaticamente parlando. Il tutto condito da contratti milionari, che nessun Direttore generale si è mai peritato di revisionare concretamente, sia dal punto di vista monetario, sia da quello editoriale (le 3+1 puntate alla settimana, la responsabilità apicale giornalistica, lo stile informativo, l’uso dei mezzi e delle professionalità interne, il rapporto tra spese di produzione e ritorni pubblicitari, rispetto ad altre trasmissioni simili). Ogni tanto, si levava qualche voce fuori dal coro per criticare la sua “tv del dolore”, l’uso dei plastici, la presenza di un parterre autoreferenziale, oppure lo strabordare in quasi tutti gli spazi RAI della sua presenza, in occasione delle uscite annuali dei suoi libri. Ma poi, anche i più riottosi andavano e vanno ospiti da lui, pur di sottoporsi al suo fascino arguto di conversatore e intervistatore salottiero.

Certo, Vespa è uno dei più bravi giornalisti televisivi (come l’altro “animale televisivo” Santoro), un esempio da seguire per chi vuole imparare ad intervistare. Sempre che il suo interlocutore non sia il potente di turno, perché allora torna l’ovattato conversatore, imitato a iosa da talentuosi comici che grazie alle sue caricature hanno fatto fortuna in TV.

A nulla servono oggi le grida di indignazione, provenienti soprattutto dal PD e dai vertici istituzionali del Comune di Roma, quando per anni si è blandito Vespa pur di essere presenti nel suo salotto o, come è spesso accaduto, cercare da lui lo spazio mediatico per farsi propaganda politica. E non si può chiedere con voce stonata misure censorie e tantomeno “puntate riparatorie”!

Un programma sui Casamonica si poteva e si doveva pur fare sulla RAI. Il problema semmai è la “costruzione della narrazione”. Come si compone un approfondimento che sia tale e che non si presti, invece, come è stato, a diventare una vetrina per far parlare i due familiari (“da alfabeta”, come si scusava ammiccante la figlia, Vera Casamonica), per disegnare un quadretto assolutorio e tragicomico del defunto patriarca. Oppure per far difendere la figura inquisita dalla Procura di Roma dall’avvocato storico della famiglia, tutto proteso a tracciare un ritratto “imprenditoriale” del defunto, “commerciante di auto e tutt’al più evasore continuativo”.

Ci si domanda: come mai tra i giornalisti non è stato invitato Lirio Abbate, inviato dell’Espresso, autore dell’inchiesta che ha dato spunto due anni fa all’indagine della Procura romana su “Mafia capitale”, o altri giovani cronisti che su testate locali hanno denunciato, inascoltati e minacciati di morte come Abbate, l’estensione tentacolare della piovra mafiosa su Ostia (municipio sciolto nelle settimane scorse dal prefetto Gabrielli, proprio per infiltrazioni mafiose)?  O anche lo scrittore, massimo esperto di camorra e criminalità organizzata, Roberto Saviano?

E perché non chiedere di intervenire ad uno dei magistrati coraggiosi, il Capo della Procura Giuseppe Pignatone o il suo aggiunto Michele Pristipino, che stanno scoperchiando la pentola del marciume mafioso nella Capitale? Sono note le conoscenze di Vespa negli ambienti della magistratura e dei professionisti forensi. Non era certo difficile per il “Dominus della TV” contattarli, per un contradditorio davvero calzante. Forse tutti questi personaggi, giornalisti e magistrati, erano in vacanza, impossibilitati comunque ad intervenire? E allora, perché non rimandare la puntata a quando fossero stati disponibili, visto che il tema, seppure interessante, era ormai divenuto “un piatto freddo”?

Ma forse a Vespa, grande uomo di televisione e dal naso fino in tema di autopromozione, serviva proprio questo clamore per far risalire lo share e l’interesse per una formula sempre più usurata e, magari, alla vigilia della presentazione dell’ennesimo nuovo libro?

Fatto sta che la il nuovo CDA della RAI, a partire da due autorevoli ed esperti professionisti come Franco Siddi (ex-segretario della FNSI, molto sensibile all’autonomia professionale e alla valorizzazione del Servizio pubblico) e Carlo Freccero (uno dei massimi esperti di televisione in Italia e in Europa, nonchè in passato innovatore di programmi alla RAI e a Fininvest), dovrebbe occuparsi di questi “spazi autogestiti” che sono diventati i programmi di Infotainment. Contratti faraonici come quelli di Vespa andrebbero ridiscussi, anche prima della fine della loro valenza, soprattutto per rivedere la loro linea editoriale, insieme a quella dei palinsesti delle tre reti TV, se si vuole innovare il Servizio pubblico e farla finita col passato. Cosa aspetta ancora il nuovo Direttore generale, Antonio Campo dell’Orto, grande esperto di media a livello internazionale, stando al suo curriculum, ad intervenire e dire “Basta!”. Non c’è da censurare nessuno. C’è solo da rivedere i canoni editoriali della comunicazione radiotelevisiva, ormai datati, filogovernativi, quando solo sensazionalisti.

“Porta a Porta” ha fatto il suo tempo già da qualche anno. Perché non liberare energie, idee e mettere alla prova nuove professionalità interne ed esterne alla RAI, per ridare vigore all’informazione e allo spettacolo, senza dover ricorrere sempre ai 5 grandi appaltatori e mortificare le “maestranze” del più seguito Servizio pubblico d’Europa?


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