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Papa Francesco conclude il viaggio americano. Considerazioni sul papa “dei senza potere” che sfida il potere

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Di Pino Salerno

Si è concluso il viaggio americano di papa Francesco. Iniziato una settimana fa, ha toccato Cuba, Washington, New York e infine Filadelfia, dove ha presieduto il raduno mondiale dei cattolici dedicato ai temi della famiglia. Un viaggio religioso o un viaggio politico? Se lo chiedono in tanti in queste ore, alla luce dei suoi discorsi americani. La verità è che papa Francesco sapeva bene fin dal principio che questo particolare viaggio avrebbe avuto una risonanza universale, planetaria, e che le sue parole avrebbero avuto un’eco di portata storica più vasta del previsto. Papa Francesco non solo sta riformando la Chiesa, dalle gerarchie ossidate e cristallizzate nel loro placido conservatorismo fino all’ultimo credente, ma è anche convinto che la rivoluzione nel mondo cattolico possa portare con sé una rivoluzione culturale generale. È insieme un programma e una missione, che egli persegue fin dai primi giorni del suo insediamento sul soglio pontificio, e che affida alla responsabilità quotidiana di ogni cattolico.

I temi della rivoluzione copernicana di papa Francesco

Per questa ragione di fondo ha voluto dedicare la sua prima enciclica, Laudato sì, alla sopravvivenza del pianeta e ai danni provocati dal cambiamento climatico sugli ultimi della Terra, i diseredati, i poveri, le “vite di scarto, che si nutrono degli scarti” della civiltà occidentale capitalistica. Guidato da questa specie di ossessione culturale, starei per dire ideologica, di un mondo sempre più diviso tra i pochi “che hanno” e i tantissimi “che non hanno”, tra coloro, pochi, che vivono nel benessere e i tantissimi che quello stesso benessere costringe a vivere degli scarti, come una sorta di diffuso Lazzaro evangelico, papa Francesco ha sfidato il potere planetario guardandolo direttamente negli occhi, senza timore reverenziale e senza alcuna concessione. Si è vestito dei panni di coloro che sono “senza potere” per gridare a chi “il potere” ce l’ha che il mondo contemporaneo sta perdendo la sua sfida sul futuro. Dinanzi a Raul e Fidel Castro, e poi davanti ai congressisti a Washington, e ai principeschi rappresentanti degli stati raccolti nell’Assemblea generale dell’Onu a New York, e infine alle folle cattoliche di Filadelfia, papa Francesco ha recitato lo stesso, medesimo, Rosario delle difficoltà del mondo contemporaneo, puntando l’indice sui limiti della crescita e del progresso umano a senso unico e soprattutto sul principio di responsabilità verso gli ultimi di oggi, miliardi di poveri, e verso le nuove generazioni del futuro, alle quali consegniamo un pianeta fratturato, a rischio, ricco solo di ingiustizie e di disuguaglianze.

Il senso della politica, e del potere, è riconoscere l’etica della responsabilità verso gli ultimi

E papa Francesco ha voluto ricordare, ad ogni passaggio di questo Rosario, che il senso della politica, ormai smarrito, e del potere è saper riconoscere questa responsabilità. Dinanzi a questa valutazione, nella prospettiva di papa Francesco cadono tutti gli imperativi morali che hanno purtroppo trasformato la missione evangelica dei papi in una sorta di eticismo comunitario che per secoli ha reso la Chiesa esclusiva e non inclusiva. Ecco perché questo papa, anziano nell’anagrafe ma estremamente contemporaneo nel pensiero e negli atti, ha deciso di dedicare alla misericordia un anno giubilare straordinario, ed ecco perché impone ai parroci e ai vescovi di accogliere coloro che pur credendo si fermano sulla soglia delle chiese e dei sacramenti, proprio per effetto di impedimenti morali. Il passaggio dall’integrismo eticista e moralista della dottrina al perdono e all’accoglienza di tutti, per effetto della misericordia, è una rivoluzione copernicana nella Chiesa cattolica, qualcosa di “inaudito”. Nel confronto col mondo contemporaneo, desacralizzato e secolarizzato, papa Francesco ha alzato l’asticella della sfida, rovesciando il piano del conflitto. Quella di Francesco non è più una Chiesa che si contrappone alla contemporaneità usando la dottrina e la disciplina morale, come se la salvezza di un credente dipendesse dal comportamento umano e non dalla fede. Quella di Francesco è una Chiesa che sa perdonare e accogliere chiunque, ed evita di giudicare il prossimo, come insegna il Vangelo.

La fine della tradizione dell’integrismo cattolico e l’inizio di una nuova teologia della liberazione

E usa con precisione l’etimologia del verbo: per-donare, l’atto della misericordia è eminentemente gratuito, ed è concesso a tutti, ma proprio a tutti. Teologicamente, papa Francesco mette finalmente la parola fine ad una tradizione derivata da san Paolo, che ha dominato nella dottrina della Chiesa per molti secoli, e che Nietzsche criticò severamente e giustamente: la superiorità dell’integrismo moralista sulla fede, che tanti danni ha causato nella stessa Chiesa, dalla ipocrisia del cattolicesimo praticato (“sono un peccatore, ma mi confesso, e voilà posso tornare a peccare”) alla trasgressione (l’ossessione sessuofobica che spinge alla pedofilia), dalla menzogna praticata come strumento di potere, e dunque “giustificata”, alla raffinata arte del compromesso col potere politico, che ad esempio porta i vescovi a sedere in prima fila negli eventi mondani come “autorità religiosa”, mentre non lo è un rabbino, o un monaco buddhista. Il compromesso col potere politico, la subalternità di certa Chiesa nei confronti dei ricchi, il tradizionale comportamento di certi vescovi e parroci che perdonano chi paga e allontanano chi soffre, il Vaticano come centro occulto di finanze occulte: tutto questo è spazzato via dalla missione rivoluzionaria di papa Francesco. E speriamo che egli vinca questa immane sfida. Tutto ciò non solo è la premessa del viaggio del papa in America, ma ne è stato il centro, il cuore, il nucleo di ogni suo ragionamento.

Esiste un fondamentalismo islamico, ma anche un pessimo fondamentalismo cattolico

Nella Independence Hall di Filadelfia, ad esempio, a chiusura del suo viaggio, non a caso il papa ha fatto riferimento alla libertà religiosa come “diritto fondamentale”, presentando una visione ampia e tollerante di ciò che dovrebbe essere (e fin qui, in coerenza con tutti i papi prima di lui), ma ha anche avvertito che la religione può essere perversa e “pretesto per atti di odio e di brutalità”. Non era un attacco al solo fondamentalismo islamico. Era un attacco calibrato a certi ambienti della Chiesa cattolica, a certi vescovi, a cominciare proprio da quello di Filadelfia che gli stava accanto, con gli occhi bassi, a quel Charles Chaput campione dell’intolleranza e dell’ipocrisia. Intolleranza contro l’aborto e contro le donne cattoliche che lo abbiano praticato, ad esempio, ma ipocrita sui tanti preti accusati e condannati per pedofilia. Chaput è quel vescovo che si dichiarò apertamente contrario alle aperture di Francesco ai cattolici divorziati e risposati e agli omosessuali con queste orrende, rozze, parole: “credo che la confusione sia del diavolo, e credo che l’immagine pubblica che il papa ha voluto dare con queste aperture sia quella della confusione”. Dunque, per concludere il sillogismo di questo “illustre” vescovo di Filadelfia, il papa sarebbe “demoniaco” perché ingenera confusione. Incredibile ma vero, quest’accusa viene da uno dei vescovi meno amati dalla popolazione cattolica degli Usa, che conta circa 80 milioni di fedeli, soprattutto per effetto dell’ingresso di milioni di ispanici. E perché Chaput è tra i meno amati? Perché ha nascosto subdolamente, e colpevolmente, la realtà diffusa del fenomeno della pedofilia tra i preti, talmente diffusa che un quinto delle parrocchie della Diocesi di Filadelfia non ha un parroco.

Il ruolo delle religioni dinanzi al fallimento della globalizzazione

Anche per lui e per quelli come lui, papa Francesco ha voluto ricordare la responsabilità della religione nella sfera pubblica: “la religione deve servire la società, soprattutto come baluardo contro ogni abuso del potere assoluto”. A coloro che al raduno mondiale sulla famiglia si attendevano parole tradizionali, contro l’aborto e contro la contraccezione (ovvero, contro Obama), papa Francesco ha offerto qualcosa di più e di meglio, la libertà di pregare e di prendersi cura degli altri. Il papa ha detto: “le tradizioni religiose chiamano alla conversione, alla riconciliazione, all’interesse verso il futuro della società, al sacrificio di sé nel servizio del bene comune e alla compassione per coloro che sono in stato di necessità”. A quanti vescovi, a quanti parroci, a quanti sacerdoti nel mondo sono fischiate le orecchie? Ma papa Francesco parlava anche agli altri credenti, sottolineando che al centro della missione spirituale vi è la proclamazione “della verità e della dignità della persona umana e dei diritti dell’uomo”. Chi le mette in pericolo? A questo punto, a Filadelfia, Francesco ha alzato gli occhi dal discorso già scritto ed è andato a braccio, facendosi serio: “se la globalizzazione fosse stata una forza per il bene avrebbe operato per l’uguaglianza, unendo i popoli e portando loro rispetto”. Invece, “la globalizzazione distrugge la ricchezza e la specificità di ogni persona e di ogni popolo”. Si poteva dire meglio?

Da jobsnews


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