Mastro Titta nei suoi racconti, elementari ingenui, efficacissimi, del suo romanzo popolare, ci restituisce con stupefacente immediatezza, il ricordo di una Roma Papalina, lontana anni luce dalla città di oggi. La memoria di quella parte della città del Papa, che noi contemporanei abbiamo corso il rischio d’averne perduto per sempre. La Città – Stato Vaticano, del primo ottocento è mostrata, con uno specchio retrospettivo d’una identità del popolo romano – affetti, vizzi, virtù- che sostanzialmente il tempo non ha mutato nella sostanza e che risulta affascinante rileggere.
Er Boja de Roma, nella sua lunga vita ha eseguito oltre 500 esecuzioni e alla veneranda età di 90 anni è morto serenamente sul suo letto senza un ombra di ripensamento sul suo lavoro svolto. Mastro Titta ha lasciato un libretto su cui ha annotato con scrupolo tutte le sue esecuzioni, ha sempre creduto giusto che chi commette un peccato, deve espiare, e considerava il suo lavoro, un atto di giustizia, chi uccide deve essere ucciso. Le memorie, il taccuino, di Giovanni Battista Bugatti, ( Senigaglia 6 marzo 1779 – Roma 18 giugno 1869) molto noto come ER BOJA DE ROMA, ricorda le sentenze di morte dello stato Pontificio, che sono state pubblicate nel 1886 dall’Ademollo. Queste sono servite da spunto ad un ignoto autore, forse Ernesto Mezzabotta che era lo scrittore delle edizioni Perino (piemontese) che pubblicò i racconti a dispense nel 1891. Queste storie hanno avuto un’ importante diffusione, gli strilloni inventati da questo intraprendente editore, camminavano per le strade di Roma gridando :
“ E’ uscita una nuova dispensa di Mastro Titta con le illustrazioni di Ottavio Rodella a cinque centesimi”. (circa 15/20 centesimi di euro).
Mastro Titta a Roma abitava in via del Campanile 2, nel rione BORGO, sulla riva destra del Tevere, allora dentro la cinta Vaticana e la casa è ancora visibile percorrendo una traversa di via della Conciliazione. Particolare curioso, del BOJA DE ROMA, era che quando non esercitava il suo mestiere, con il famoso mantello rosso, vendeva ombrelli come segno di una vita di un normale artigiano.
Leggendo l’antico testo, viene spontanea l’idea che quelle storie possano addirittura essere trasferite all’epoca nostra, e nulla perderebbero della loro forza narrativa. Una più attenta riflessione ci conduce alla considerazione, che questa operazione narrativa, potrebbe sembrare una trasposizione gratuita ed inutile. Oggi è possibile, con estrema facilità, raccontare episodi di ordinaria delinquenza ambientati nella Roma moderna, dove spunti per simili storie non mancano davvero. La domanda che mi sono posto è perché scomodare Mastro Titta – Er Boja de Roma, legalitario, umano, inflessibile? La risposta che mi sono dato è che il valore del romanzo popolare di Mastro Titta, sta proprio nelle analogie fra il suo tempo e quello attuale, in quel filo ininterrotto di corrispondenze culturali e sociali, affettive e caratteriali che mi hanno sorpreso durante la lettura. Il fascino di quelle storie, oltre all’intreccio delle appassionanti vicende del suo romanzo popolare, sta proprio nel modello culturale di quel tempo remoto e tuttavia presente alla nostra sensibilità di oggi in modo così diretto. I racconti di Mastro Titta lasciano alla sensibilità del lettore il mettere a confronto, il sentimento della narrazione e il nostro attuale modello culturale. Immergersi nella lettura in quella magia, di specchiarsi in una Roma scomparsa e tuttavia riconoscersi con irrepetibile emozione, nei luoghi e nella gente che non è più tra noi. I racconti popolari di Mastro Titta, per chi vive a Roma sembrano cose già viste, un sogno quanto mai realistico che ci lascia lo stesso storditi ed incerti come sospesi nei ricordi senza ne tempo ne fine.
Mastro Titta, è narrato come persona, personaggio gigantesco che tuttavia pare contenere le dimensioni minime d’un uomo comune. Un uomo qualsiasi, il vicino della porta accanto, con una morale condivisa, con il suo sentimento di giustizia, la sua comune e naturale capacità di guardarsi dall’esterno, privo di consapevolezza di se, ma ricco di spirito d’osservazione. L’occhio di Mastro Titta, Er Boja de Roma, nel suo romanzo popolare narra con oggettività sconcertante, come se riprendesse con la telecamera per registrare i fatti, le persone e tutto inquadra in una sorta di gioco chiuso, un gioco le cui regole non sono in discussione e non ammettono deroga. Per Giovanni Battista Bugatti il bene e il male, il buono e il cattivo sono pane quotidiano, dove tutto è riportato alla sua essenza di cosa in sé. Mastro Titta, forse incarna “la giustizia”, di come ancora oggi pensiamo debba essere, come forse oggi molti la desiderano, sia da parte dell’opinione pubblica che dai giudici. Una giustizia netta, severa inesorabile ed esemplare, a volte sommaria, che riporti l’ordine nelle regole del gioco, che restituisca certezza e sicurezza all’uomo comune, che ridistribuisca equamente il castigo al delitto e il premio alla virtù. Queste riflessioni sollecitiamo un altro lato dell’attualità di questi racconti, dove gli stappi al tessuto civile della società ottocentesca, sono puntualmente ricuciti con la corda dell’impiccato e lo smembramento del corpo come monito. Questo romanzo popolare ha un suo fascino nella chiarità solare, con la serenità d’una cronaca giudiziaria appena più romanzata d’un articolo di giornale contemporaneo.
La giustizia con la scure di Mastro Titta si fermò una prima volta il 30 ottobre 1797 e riprese le esecuzioni il 18 gennaio del 1800.
Nel 1798 il generale Berthier, inviato dal Direttorio dello stato Francese a seguito della guerra di Napoleone in Italia, il 5 febbraio occupa Roma e 11 dichiara decaduto il potere temporale del Papa Pio VI e proclama la repubblica Romana. La seconda volta la mannaia di Mastro Titta sospese le esecuzioni nel luglio del 1847 e le riprese il suo lavoro il 10 settembre del 1851.
Era stata proclamata la Seconda Repubblica Romana del 1848/49 che iniziò il 9 febbraio 1849 con la fuga a Gaeta dl Papa Pio IX. La città di Roma in quel periodo fu governata da un triunvirato composto da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini, e Aurelio Staffi. Ricordo che le due le sospensioni del lavoro di Mastro Titta , er boia de Roma,le dobbiamo alle due la Repubbliche Romane che probabilmente erano meno feroci nell’amministrare la giustizia dello Stato del Vaticano governato dal Santo Papa.
In conclusione il romanzo popolare di Mastro Titta ci ricorda che quando ci capita di passeggiare per Roma, passando per il Ponte (Castel Sant’Angelo), per piazza del Popolo , per il ponticello fuori Porta San Paolo, per Campo De Fiori, a ponte Felice, e per Campo Vaccino, tutte queste parti della Città Eterna, sono i principali luoghi, dove il popolo romano in massa assisteva alle esecuzioni. Quando passiamo per via del Corso ci ricordano di una usanza che nei suoi racconti ci tramanda il Bugatti. Durante il Carnevale, le “prostitute” le più note e le più formose, (tra le altre ricorda “Cecca-Buffona” e “Joanna la spagnola”) che non portavano la maschera, venivano fatte camminare nude lungo via del Corso e venivano frustrate, questo era uno dei più graditi divertimenti che Roma la città del Papa potesse offrire al suo popolo.