BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La Costituzione viene prima di tutto

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Tralasciamo la relazione e la replica di Renzi, tralasciamo il dibattito, se così lo si può chiamare, andato in scena alla Direzione del PD e tralasciamo anche il fatto che la medesima abbia approvato all’unanimità la relazione del segretario-premier, con la minoranza che, oltre a non essere stata particolarmente incisiva nei pochi interventi svolti, non ha trovato di meglio che uscire dalla stanza al momento del voto; tralasciamo tutto questo e occupiamoci di argomenti seri, di ciò che interessa veramente al paese in merito alla pessima riforma costituzionale della quale si sta discutendo da oltre un anno.

La realtà è che, con un PD completamente spostato a destra e una minoranza composta, in alcuni casi, da ottime persone ma complessivamente allo sbando totale, fragile nella difesa delle proprie idee e di princìpi per i quali sarebbe necessaria la massima intransigenza, in questo contesto, quando si tratterà di sventare questo stravolgimento della Costituzione al referendum non potremo contare sullo stesso sostegno che rese più agevole del previsto la difesa della Carta dall’assalto portatole dieci anni fa dal centrodestra, grazie alle brillanti proposte dei costituenti di Lorenzago, così come non avremo dalla nostra quei mezzi d’informazione che se queste stesse proposte le avesse avanzate Berlusconi, si sarebbero immolati sulla pubblica piazza mentre oggi tacciono, rendendo i loro silenzi, le loro omissioni e i loro cedimenti assai più dolorosi delle parole pronunciate quotidianamente dal Premier e dai suoi sodali.

D’altronde, la storia ormai la conosciamo: è la stessa che ci viene ripetuta da quasi vent’anni, da quando D’Alema apparecchiava il tavolo per le grandi riforme con Berlusconi e chiunque gli facesse notare di aver scelto l’interlocutore sbagliato per la Bicamerale veniva trattato con sufficienza, come un relitto legato a vecchi schemi, un compagno che è rimasto indietro, che non si rassegna all’incedere della modernità, quando al contrario eravamo semplicemente persone convinte che l’ex Cavaliere non fosse il soggetto adatto per riscrivere le regole di convivenza civile redatte da uomini e donne che, in molti casi, avevano rischiato la vita per restituire all’Italia dignità e democrazia.

Allo stesso modo, sappiamo che saremo derisi e considerati passatisti quando faremo notare che un Presidente del Consiglio che si permette di sbeffeggiare i conduttori dei due principali programmi d’approfondimento e, peggio ancora, di mettere pressione al Presidente del Senato affinché assuma decisioni in linea con i suoi desiderata, dopo aver irriso alcuni dei principali esponenti di quella che in Europa dovrebbe essere la sua famiglia politica, è un soggetto che andrebbe quanto meno richiamato ai suoi doveri, un personaggio al quale andrebbe fatto presente che l’inquilino di Palazzo Chigi non può esprimersi costantemente come se si trovasse con un gruppo di vecchi amici a ridere e scherzare in un bar di Pontassieve.

E sappiamo anche che la minoranza dem è perfettamente cosciente del fatto che questo “Lodo Tatarella”, questa mediazione al ribasso sulla designazione dei consiglieri regionali che dovrebbero assumere l’incarico di senatori, non modifica in alcun modo l’impianto di una riforma che altera gli equilibri costituzionali fra i poteri dello Stato, non mette al riparo dal dominio della maggioranza cariche essenziali e di garanzia come quella del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali, non incide contestualmente sul numero dei deputati e su quello dei senatori e, quel che è peggio, non scardina il combinato disposto di Italicum e stravolgimento della Costituzione, dando vita a un premierato di fatto senza gli adeguati contrappesi previsti sia nel cancellierato tedesco sia nel sistema semi-presidenziale francese sia in quello presidenziale americano.

Lo sanno, ma non hanno abbastanza coraggio, abbastanza convinzione né un livello sufficiente di passione civile per opporsi; lo sanno ma sembrano anteporre le ragioni del partito a quelle imprescindibili della democrazia e della Costituzione; lo sanno ma continuano a mediare con un uomo che ha ampiamente dimostrato di voler andare dritto per la sua strada, dopo aver imposto la legge elettorale a colpi di fiducia e varato una serie di norme che hanno sconvolto e allontanato la base storica del partito dal quale loro non riescono a staccarsi; lo sanno che ormai il PD è poco più di una sigla, che non ha nulla a che vedere con quella compagine progressista e riformista nella quale tutti noi ci siamo identificati per anni, ma non riescono ad emanciparsi da un soggetto la cui mutazione genetica è totale e irreversibile. Lo sanno e ciò che più mi addolora è che ci stanno lasciando soli in una battaglia che va comunque portata a termine, affinché un domani i nostri figli e nipoti non debbano vergognarsi di noi, accusandoci di essere rimasti indifferenti di fronte a una variazione costituzionale che, al netto del dibattito sui suoi connotati più o meno autoritari, va in una direzione che finirà inevitabilmente con l’alterare i presupposti del nostro stare insieme.

Lo sanno e a me viene in mente il volto di Pierluigi Bersani, la sua cultura, la sua conoscenza e competenza politica, ciò che mi ha insegnato e ciò che ha rappresentato per me e per tanti ragazzi della mia generazione; lo sanno e mi viene in mente la saggezza storica di Miguel Gotor, la raffinatezza delle sue analisi, la profondità delle sue riflessioni, la brillantezza dei suoi saggi e l’acume del suo pensiero; lo sanno e mi viene in mente la cultura vastissima di Gianni Cuperlo, la sua campagna per le primarie senza alcuna speranza di vittoria ma, comunque, ricca di orgoglio e buona politica; lo sanno e mi domando perché questi amici e compagni non si rendano conto che da questa deriva sarà impossibile tornare indietro.

Lo sanno e mi rifiuto di credere che siano complici, mi rifiuto di accettare l’idea che siano d’accordo, mi rifiuto di mettere in dubbio il loro sincero spirito democratico, anche perché li conosco bene e so che anche per loro la Costituzione del ’48 profuma di resistenza, di lotte partigiane, di ragazzi della mia età che rischiarono e, in molti casi, persero la vita per restituire al Paese la libertà perduta; lo sanno e penso alle volte che abbiamo riflettuto insieme su Gramsci, Berlinguer, Calamandrei, come penso alla sera in cui Cuperlo, rivolto ai giovani, disse che gli sarebbe piaciuto imitare il professor Caffè, insigne economista, il quale sosteneva che i suoi allievi fossero i libri che lui non era riuscito a scrivere, e poter dire un giorno che la nuova classe dirigente siano le riforme che la sua generazione non era riuscita a portare a compimento.

E poiché con loro abbiamo combattuto con fierezza numerose battaglie, voglio sottoporre all’attenzione dei medesimi queste riflessioni della compianta Carla Voltolina, moglie del presidente Pertini: “L’approvazione del testo di modifica della Costituzione Repubblicana suscita grave inquietudine, e mi impone di rompere senza indugio il silenzio. Le modifiche costituzionali prefigurano, come è stato osservato da autorevoli studiosi, una repubblica ‘bonapartista’, esse echeggiano per taluni aspetti, aggiungo senza troppo sforzo di fantasia, le leggi fascistissime del ‘25”. Era il 2005 e la riforma in questione era quella approvata dal centrodestra, talmente orribile che Biagi, in “Era ieri”, dopo aver elencato i nomi di alcuni dei nuovi “costituenti”, aggiunse: “Questi improvvisati politici hanno cancellato quello che è stato scritto da Einaudi, Nenni, De Gasperi, Saragat, Rossetti, Ruini, Calamandrei, Togliatti, Pertini, Moro, La Malfa, Croce, La Pira, Di Vittorio, Andreotti, Parri, Dossetti, Amendola, Terracini e Scalfaro”.

Ma davvero, cari amici e compagni della minoranza dem, volete passare alla storia come coloro che per salvare un partito che non esiste più hanno gettato a mare un capolavoro giuridico che è, forse, la ragione stessa per cui da ragazzi avete scelto di fare politica? Ne vale davvero la pena?


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