Pubblichiamo la relazione integrale del prof. Roberto Zaccaria, in rappresentanza dell’associazione Articolo 21 dal titolo “Brevi note sul DDL Riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo” nell’audizione delle Commissioni riunite VII e IX il 29 settembre 2015 (al quale era presente anche il segretario nazionale Tommaso Fulfaro)
- Testo molto complesso in considerazione della tecnica legislativa adottata e del carattere emendativo. La scrittura, ma anche la lettura, è molto faticosa. Si ripetono disposizioni normative già presenti nella legislazione vigente (società retta dalle disposizioni del codice civile) e s’introducono nuove terminologie in maniera assolutamente incompleta e parziale (servizio pubblico radiofonico,televisivo e multimediale). Sono contenute normative anche interessanti sui requisiti di onorabilità e sulla trasparenza che troverebbero migliore collocazione in testi normativi di carattere più generale.
- La proposta si svolge non solo formalmente, ma anche sostanzialmente all’interno del disegno generale della legge Gasparri e del Testo unico del 2005. Questo vale anche per il disegno di privatizzazione che obiettivamente sembrava superato dai fatti. Non si capisce che significato abbia mantenere un disegno che, almeno apparentemente, non si intende realizzare. L’apparato pubblicistico è molto marcato e caratterizzato da una serie di vincoli che i privati non hanno anche se si continua a ripetere che la Rai deve essere in grado di competere ad armi pari con gli altri soggetti sul mercato.
- Non c’è “a monte” di questo intervento normativo una riflessione adeguata e pubblica per spiegare la filosofia del legislatore. L’aveva fatto il Ministro Gentiloni nella proposta presentata nella XIV legislatura, l’hanno fatto nel dibattito pubblico molte associazioni e tra queste Articolo 21, presentando testi e documenti. Devo ricordare anche il grande concorso sulla Missione della Rai che proprio Articolo 21 ha promosso con grandissima partecipazione di studenti italiani. I partecipanti al concorso e la giuria del concorso sono stati ricevuti nei giorni scorsi dal Capo dello Stato. Vorrei infine consegnare alla Commissione un significativo studio della Fondazione Astrid che costituisce un rapporto molto interessante per inquadrare tutti questi problemi.
- Il testo è composto da 5 articoli. Lascio da parte per ragioni di tempo l’esame di alcuni problemi importanti come quello sul contratto di servizio, quello relativo ai contratti e agli obblighi di trasparenza. Dico soltanto, a proposito del contratto di servizio, che toccandosi le fonti regolatrici del servizio pubblico sarebbe stato meglio chiarire esplicitamente la sorte della concessione che scade nel maggio del 2016. La concessione rappresenta la chiave di volta dell’intero sistema pubblico e un’omissione su questo punto appare sinceramente inspiegabile. Sul contratto poi è giusto occuparsi della durata, ma mi sembra ancora più doveroso preoccuparsi della efficacia (non viene presidiato in modo significativo) e dei tempi di approvazione. Un dettaglio assolutamente non trascurabile è costituito dal fatto che il contratto relativo al triennio 2013-2015 è ancora in fase di gestazione!!! Sui contratti un’unica osservazione: una deroga così ampia forse appare inspiegabile anche per attività non strettamente collegate alle funzioni culturali e produttive della Rai.
- Preferisco dedicare maggiore attenzione al tema della “governance” e quindi all’art.2 Dico subito che in questa materia esistono tre capisaldi fondamentali che caratterizzano i servizi pubblici in tutta la tradizione europea. Il principio dell’indipendenza, quello dell’autonomia e quello pluralistico. Ci sono importanti sentenze della Corte costituzionale che li hanno affermati e che quindi devono essere tenute presenti. Due sono ricordate nel Dossier (la sentenza n.225 del 1974 e la sent.n.69 del 2009). Ci sono poi tutte le sentenze della Corte sul principio pluralistico (n.153 del 1987, n.826 del 1988 e ma ancora più chiaramente nelle sentenze 348/90 e 112/93, e poi nelle sentenze nn. 420/94 e 466/02). Quel principio (che costituisce il risvolto del diritto all’informazione) è il principio fondamentale in materia radiotelevisiva. Esso regge sia l’aspetto soggettivo (strutturale) che quello oggettivo (funzionale)
- Il primo problema che si pone in termini di applicazione dei suddetti principi è quello della composizione dell’organo di governo. L’organo di governo della televisione pubblica deve rappresentare la sintesi della complessità sociale del paese: deve essere plurale. La derivazione parlamentare è importante, ma da sola insufficiente: il principio pluralistico esige che trovino rappresentanza altri “mondi”. Capisco che allargare a questi mondi significa perdere il controllo politico governativo, ma questo è essenziale per realizzare i tre principi che ho richiamato. Questo avviene nei paesi più importanti d’Europa. La proposta del Ministro Gentiloni (che io ho ripresentato nella XVI a legislatura) realizzava decisamente meglio questo modello.
- Il secondo problema è quello dei requisiti e dei pre-requisiti dei componenti il collegio. Anche questi rappresentano modi per assicurare indipendenza ed autonomia non al collegio in quanto tale ma ai singoli componenti del collegio stesso.
- Cominciamo dai pre-requisiti. Dobbiamo subito chiarire che si tratta di condizioni necessarie, ma non sufficienti per giudicare l’idoneità dei componenti il collegio. Ci sono nel testo una serie di disposizioni sulle ineleggibilità e sulle incompatibilità (alcune esistevano anche in precedenza) ed ora sono state introdotte nel corso dell’esame al Senato una serie di disposizioni molto dettagliate per garantire l’onorabilità dei componenti il collegio. Questo è problema serissimo, talmente serio che dovrebbe essere posto in una legge generale sull’accesso alle cariche pubbliche e poi semplicemente richiamato. Non ho trovato però la norma che individui l’organo competente ad accertare il rispetto di queste condizioni (forse l’Autorità?).
- Tra le precondizioni, tra i pre-requisiti metterei anche le disposizioni in tema di conflitto d’interessi. Il problema esiste eccome! La disposizione però così com’è formulata mi pare insufficiente. Non solo per il dato testuale (v. il rilievo contenuto nel dossier del servizio studi), ma anche in questo caso perché manca una vera legge generale cui rinviare e di conseguenza non mi pare che anche in questo caso sia individuato l’organo capace di dare effettività a questo importantissimo principio. So bene che il problema si potrebbe risolvere solo attraverso l’approvazione serie di una legge in materia che molti dicono di volere, ma che poi non arriva mai in porto. Però visto che in questa legge è stato introdotto un principio sacrosanto, penso che si possa fare uno sforzo per dire qualcosa in più!!
- Veniamo ora ai requisiti veri e propri quelli che dovrebbero avere una centralità in una legge di questo tipo. I soggetti chiamati a ricoprire l’incarico nell’organo di gestione della Rai non devono solo essere immuni da vizi soggettivi ma devono essere idonei a svolgere questo ruolo. La professionalità e la competenza rappresentano le condizioni ottimali di autonomia e di indipendenza. L’essere “caratterizzati da elevata professionalità e comprovata esperienza in ambito giuridico, finanziario, industriale e culturale” non mi pare sia assolutamente sufficiente a garantire le finalità predette. I requisiti mi appaiono troppo generici. Non voglio dire che i candidati debbano necessariamente essere professori universitari, ma l’aver superato concorsi o comunque giudizi di idoneità o attestati professionali in uno dei campi indicati sarebbe già un sensibile passo avanti.
- La necessità di un confronto comparativo. La pubblicità delle candidature e dei relativi curricula è un primo passo ma ancora insufficiente. E’ già successo che insigni personalità abbiano presentato candidature in occasioni precedenti e che queste candidature siano state assolutamente ignorate. Se si compie questo passo e per evitare che sia solo un gesto di facciata è necessario introdurre la regola del confronto tra i candidati in pubbliche audizioni. Una soluzione di questo tipo è presente in ordinamenti stranieri ed era contenuta nella proposta Gentiloni (“L’elezione è effettuata dalla Commissione parlamentare, previa audizione delle persone designate”).
- Il problema della revoca. A questo proposito è essenziale tenere presente, ai fini delle maggioranze deliberative, la sent. della Corte n.69 del 2009.
- La nuova figura dell’amministratore delegato concentra una massa enorme di poteri i poteri in una sola persona. Non credo di portarvi fuori strada se vi dico che questi poteri non sono attribuiti a nessun altro capo azienda di televisione pubblica in tutta Europa. C’è poi da tenere presente la procedura di nomina. Questa avviene da parte del Consiglio, ma su proposta dell’Assemblea. Questo schema finisce per attribuire al Governo e al Ministro dell’Economia che controlla l’Assemblea un potere decisivo.
- Se si tiene conto del fatto che la composizione del Consiglio prevede una maggioranza sicura in mano al binomio Governo-Maggioranza (almeno 4 su 7 componenti) il contrasto con il principio enunciato dalla Corte costituzionale è secco. La Corte costituzionale nella sentenza n. 225 del 1974 ha sancito il principio secondo cui, nello stabilire le “condizioni minime necessarie perché il monopolio statale possa essere considerato conforme ai principi costituzionali”, la legge deve prevedere, tra l’altro, che “gli organi direttivi dell’ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività”.
- Nel testo originario del DDL erano previste due deleghe: una sul canone ed una sul riordino normativo. La prima è caduta ed è rimasta solo la seconda.
- E’ inutile che parli qui della delicatezza di una delega sul canone perché i principi di autonomia ed indipendenza del servizio pubblico pretendono che il sistema di finanziamento sia tale da non dipendere né dalla maggioranza, né dal governo. Questo principio è custodito rigorosamente negli statuti dei principali paesi europei.
- La delega che è rimasta è, a mio giudizio, una delega solo apparente. Prima di tutto devo rilevare che è amplissima. Si potrebbe pensare che il riferimento alla riforma, contenuto nel titolo della legge, si riferisca essenzialmente a questa. I principi e i criteri direttivi mi appaiono assolutamente evanescenti. A me pare che non rispetti le condizioni essenziali poste dalla Costituzione. Se una delega non rispetta queste condizioni essa finisce con il realizzare un mero trasferimento di potere legislativo dal Parlamento al Governo ed è ovviamente sindacabile da parte della Corte costituzionale. Ho letto in proposito le incisive affermazioni contenute nella scheda del Comitato per la legislazione ed ho trovato conferma sul fatto che siamo lontani da una formulazione corretta. Tra qualche giorno sarà approvato, immagino, il parere del Comiato. Suggerisco sommessamente di tenerlo nella dovuta considerazione.