Il Papa, Obama e il destino delle due Americhe

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Papa Francesco che invoca la pace, papa Francesco che si scaglia contro la pena di morte, lo strapotere del denaro e il commercio smodato di armi, papa Francesco che media fra Cuba e gli Stati Uniti, incontrando con lo stesso coraggio, la stessa saggezza e la stessa levatura culturale e spirituale sia Obama che i fratelli Castro, questo pontefice che ormai non sorprende più nella sua grandezza si è recato dall’altra parte del mondo per innalzare, nei luoghi simbolo della democrazia a stelle e strisce, quel messaggio di fratellanza universale che è al centro della sua enciclica “Laudato si’” e del suo intero pontificato.

Papa Francesco e la sua attenzione ai poveri, agli ultimi, agli emarginati, papa Francesco e il suo messaggio contro la piaga della pedofilia nella Chiesa ma, soprattutto, contro il dissesto idrogreologico, lo sfruttamento ambientale incontrollato, la distruzione del paesaggio e lo strangolamento dei paesi più in difficoltà attraverso richieste economiche insostenibili: una guida universale dal volto umano, questo è, prima di tutto, questo papa venuto dalla fine del mondo e capace di restituire una visione, un orizzonte e un modello di sviluppo radicalmente alternativo a un Occidente da trent’anni ostaggio di un’ideologia sbagliata, opprimente, irrispettosa della dignità e dei diritti degli esseri umani, a cominciare da quello, essenziale, a un’esistenza libera e degna di essere vissuta.

Ha asserito, infatti, il Pontefice: “I governanti devono fare tutto il possibile affinché tutti possano disporre della base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e mantenere una famiglia […]. Questo minimo assoluto, a livello materiale ha tre nomi: casa, lavoro e terra; e un nome a livello spirituale: libertà dello spirito”. E ancora: “Tale necessità di una maggiore equità vale in special modo per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di sicurezza, gli organismi finanziari e i gruppi o meccanismi specificamente creati per affrontare le crisi economiche. Questo aiuterà a limitare qualsiasi sorta di abuso o usura specialmente nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Gli organismi finanziari internazionali devono vigilare in ordine allo sviluppo sostenibile dei paesi e per evitare l’asfissiante sottomissione di tali paesi a sistemi creditizi che, ben lungi dal promuovere il progresso, sottomettono le popolazioni a meccanismi di maggiore povertà, esclusione e dipendenza”.

E non è un caso che questo pontefice si trovi così in sintonia con un presidente atipico come Obama o con un ribelle come Castro: sono accomunati dalla stessa storia di americani, dalle stesse battaglie per consentire ai rispettivi popoli di vivere in maniera decente, dallo stesso rifiuto di abbandonare i ceti sociali più fragili a se stessi, dalla stessa indomita passione civile, dalla stessa incrollabile fiducia nel prossimo, dallo stesso desiderio di costruire un mondo più giusto e dalla stessa attenzione alle minoranze, delle quali essi stessi sono degni rappresentanti.

Bergoglio e gli emigranti nel nuovo mondo, Castro e gli oppositori oppressi dal regime di Batista, Obama e la lunga lotta dei neri americani per emanciparsi dalle discriminazioni e dai pregiudizi: solo tre uomini che hanno conosciuto le difficoltà di chi lotta dal basso ed è costretto a battersi senza alcun sostegno né ricchezza né incitamento e, anzi, è condannato a subire ogni sorta di sopruso potevano trovare le parole giuste per trasformare in maggioritario un pensiero notoriamente minoritario, per far ascoltare e accettare il proprio messaggio a mondi quanto mai lontani e diversi dal loro, per divenire leader globali, guide e simboli di un cambiamento necessario, indrirzzandolo finalmente in senso progressista dopo tre decenni di dominio conservatore.

Non a caso, già nel ’73 Casto si lasciò andare a una previsione profetica: la fine dell’embargo nei confronti di Cuba sarebbe avvenuta solo quando ci fosse stato un presidente americano nero e un papa latinoamericano. È andata esattamente così e non poteva andare diversamente, perché chi non ha patito sulla propria pelle le sofferenze del blocco delle merci, la fatica di integrarsi e farsi accogliere e il dolore proprio di una comunità emarginata e maltrattata per secoli, ridotta in schiavitù, privata di ogni diritto, a cominciare da quello di voto, e spesso utilizzata come capro espiatorio per dirimere le controversie giudiziarie, solo chi ha visto con i propri occhi il dolore dei poveri e dei deboli può trovare la forza di reagire con la dovuta intensità, percorrendo un cammino di rinascita che diviene, col passare del tempo, un tragitto collettivo di passioni e ideali, una strada nuova e mai battuta, un sentiero di crescita e condivisione che, in fondo, è il senso e la ragione sociale dell’apostolato mondiale di Bergoglio.

Il Papa che scuote le coscienze del mondo, il Presidente che ha condotto lo zio Tom alla Casa Bianca, il leader che prima di morire ha regalato al suo popolo, stremato da mezzo secolo di povertà imposta, una prospettiva di benessere e suo fratello che ne ha raccolto degnamente il testimone: questi quattro uomini, intrecciando le proprie storie e i propri destini, hanno spostato il palcoscenico del mondo, rendendosi protagonisti di una mutazione epocale degli equilibri economici e geopolotici di un intero continente e dei suoi numerosi interlocutori.

Papa Francesco, venuto dalla fine del mondo quando molti di noi cominciavano a temere che il mondo fosse alla fine, non è un eroe né un salvatore dell’umanità, e nemmeno un santino da venerare acriticamente; più semplicemente, è un punto di riferimento per miliardi di persone, non essendosi mai dimenticato di essere un uomo fra gli uomini, un peccatore fra i peccatori, un idealista e un sognatore concreto in un pianeta affamato di pace, di umanità, di dialogo, di bellezza e bisognoso di abbattere tutti i muri e le barriere che ostacolano il progresso e la convivenza civile fra i popoli.


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