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Il Papa a Cuba: oltre il castrismo (e la revoluciòn) per un mondo più giusto

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Cosa c’è dopo la ‘revoluciòn’? E’ forse questo l’interrogativo che comincia ad emergere a Cuba e nei suoi dintorni, in seguito alla visita di Papa Francesco nell’isola. Evento storico, come si dice in questi casi, non tanto perché un papa è sbarcato nell’isola del socialismo caraibico, è il terzo pontefice a visitare Cuba dopo Giovanni Paolo II (1998) e Benedetto XVI (2012), piuttosto a rendere particolare e unica la visita di Francesco è il ruolo di mediazione esercitato dalla Santa Sede nel disgelo e poi nella riapertura delle relazioni diplomatiche fra Washington e l’Avana. L’accordo fra i due Paesi che per più tempo hanno hanno continuato a vivere secondo una contrapposizione nata dalla guerra fredda, è stato firmato in Vaticano davanti al Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin; e basterebbe questo particolare, da solo, a spiegare quanto significativo sia stato il peso del papa sudamericano in questa vicenda.

D’altro canto fin dal suo primo mandato Barack Obama aveva annunciato di voler normalizzare le relazioni con Cuba, pur sapendo che a questa soluzione si opponevano i repubblicani come le organizzazioni degli esuli ormai stabilitisi da molti anni negli ‘States’. D’altro canto il capo della Casa Bianca considerava ormai anacronistico quell’embargo che resisteva oltre il Muro di Berlino, rendeva splendido l’isolamento cubano ed eroica battaglia dell’isola per la propria indipendenza; sul fronte le pluridecennali restrizioni economiche lasciavano intendere che mai gli americani avrebbero mollato. E però oltre i miti c’è la storia delle persone, di un popolo, quello cubano, certo fiero della propria battaglia contro la prima superpotenza del mondo, ma forse stanco di essere ‘solo’ un simbolo. La doppia trappola del ‘bloqueo’, dell’embargo, da una parte e di un sistema economico integralmente statale – compensato da forme tollerate di mercato nero – dall’altra, ha reso progressivamente Cuba un sogno triste. Raul Castro lo aveva capito da tempo, probabilmente fosse arrivato al potere prima – dal 2008 ha sostituito Fidel – avrebbe avviato da tempo le riforme. E ora l’apertura per ora timida a forme di economia di mercato, la ripresa delle relazioni internazionali, la fine della guerra fredda, l’alleggerimento delle sanzioni da parte americana, sono passi avanti. Ma certo la domanda iniziale resta senza risposta. Dopo la rivoluzione ci sarà ancora la rivoluzione? Oppure il cambiamento di cui siamo testimoni troverà nuove strade? Certamente col tempo avrà altri protagonisti, i fratelli castro usciranno di scena e una nuova generazione dovrà gestire i tempi nuovi che arrivano.

Nel frattempo papa Francesco ha portato a compimento il cammino iniziato da Wojtyla e Ratzinger: la Chiesa cubana e la Santa Sede hanno dialogato con il regime, difeso l’indipendenza di Cuba, osteggiato l’embargo, chiesto più libertà per le istituzioni cattoliche – impegnate sui temi sociali più urgenti – favorito i rapporti con i dissidenti, lavorato per superare la chiusura e l’isolamento dell’isola; in tal modo la Chiesa ha guardato oltre l’esperienza castrista. Accanto a ciò, tuttavia, va considerato il peso specifico gettato nell’arena internazionale da un papa del sud del mondo che ha levato la sua voce contro il super potere della finanza globale e di un modello economico giudicato ingiusto e fautore di enormi diseguaglianze. Francesco, insomma, non era estraneo alla tradizione di contestazione della supremazia economico-militare americana che ha segnato la vita – spesso drammatica – delle nazioni latinoamericane nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Ma con la fine della guerra fredda anche in America Latina si sono messi in moto dei percorsi democratici importanti, molti regimi sono caduti; allo stesso tempo sono sorte nuove forme di sfruttamento, mentre la criminalità, il narcotraffico e la corruzione, cresciute non di rado pure sulle ceneri degli squadroni della morte e delle guerriglie di un tempo ormai disoccupati, hanno portato lo scompiglio e il caso in molte regioni.

Il tema di fondo che rimane aperto in questo scorcio di settembre, è allora se qualcosa del modello cubano – di cui s’intravede traccia in quello snocciolare cifre sulla sanità e l’istruzione così monotono da parte dei dirigenti cubani a cominciare da Raul Castro, eppure in grado di segnare in modo così netto la differenza fra le condizioni di vita delle classi povere nel continente latinoamericano – potrà resistere al cambiamento. Oltre il partito unico, insomma, forse c’è ancora una chance per un’alternativa, per quanto fragile essa appaia oggi. E in fondo la visione entro la quale si muove il papa è proprio questa, e cioè il rifiuto di un’ideologia totalizzante – quella castrista certo, ma anche il persistere di un anticomunismo ottuso nella Chiesa – per affrontare il tema della costruzione di un modello di sviluppo solidale, socialmente sostenibile, capace di trovare un equilibrio con l’ecosistema quale patrimonio comune dell’umanità e quindi non mercificabile ma nemmeno da imbrigliare di una sola prospettiva ideologica.


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