Il dibattito che ha raccolto gli importanti spunti di Norma Rangeri (”Un decalogo per l’alternativa”, il manifesto del 28 luglio scorso) ha fornito argomenti e riflessioni utili. “Eppur non si muove”, si potrebbe dire con disappunto. L’evocato percorso unitario delle differenti anime che si muovono in quell’istmo posto tra il partito democratico e 5Stelle stenta. E alle giuste invocazioni-evocazioni di principio -un passo indietro dei vecchi gruppi dirigenti, il superamento di ogni tentazione federativa alla moda antica, salto di qualità culturale- non pare ancora seguire un percorso determinato. Intendiamoci. Gli appuntamenti autunnali forse chiariranno. Speriamo bene. Tuttavia, è necessario proclamare che “Il re è nudo”: con un simile approccio è difficile che possa avvenire l’auspicata “rottura epistemologica”, vale a dire il passaggio dalle speranze militanti alla ragion pura della Politica. Per chi da tempo non crede più alla riformabilità dall’interno del Pd (ma in bocca al lupo ai gufi e ai dissenzienti, alla vigilia del voto sulle “riforme”), ovviamente la ri-nascita di un soggetto di sinistra è attesa come la pioggia dopo la siccità. Però, guai all’ennesima falsa partenza. E chissà se il logorato termine stesso “sinistra” può avere ancora corso. Interessanti tanti spunti del “Corso urgente di politica per la gente decente” di Juan Carlos Monedero, che è stato responsabile del programma di Podemos.
Vi sono questioni da non rimuovere e che attengono al senso profondo dell’agire futuro, affinché la nuova miscela non contenga muffe e scorie precedenti. Le immagine di morte che ci vengono rese quotidianamente dai media ci racconta la tragedia di una migrazione storica, che ci interpella sulla geopolitica del mondo e sulle insufficienze abnormi anche di una sinistra tutta chiusa e nazionale. E poi. Perché non si fornisce –se non di sfuggita e spesso per dovere di ufficio- qualche risposta ai motivi che hanno ridotto la sinistra ai minimi termini? Complotti? Destino cinico? C’è da dubitarne. L’origine sta nella debolezza analitica sui caratteri del Capitale nella versione contemporanea e, quindi, sulla morfologia sociale affermatasi dopo l’epoca del fordismo. Questione di lunga incubazione. In verità, è dalla crisi seguita alla “svolta” del 1989 che si procede a vista, senza una visione e una strategia alternative. Non sarà un caso se l’intera nomenclatura dei progetti si è rivelata alla lunga inadeguata: sia sul versante moderato sia su quello cosiddetto radicale. Il Pd guidato da Renzi, al di là degli improbabili richiami a Tony Blair (altra stagione, altra società, ora finalmente pure altri protagonisti come Corbyn), ha ben poco a che fare con lo spirito dell’Ulivo o dello stesso partito all’atto della fondazione, essendosi ormai stabilmente collocato in un’area conservatrice (scuola, lavoro, Rai, Sblocca Italia e trivellazioni, e così via) e ammiccando alle suggestioni autoritarie: il combinato disposto di Italicum e riduzione ad organismo senza poteri e rappresentanza del Senato. E’ una deriva volta al peggio, essendo l’unica possibilità di sopravvivenza di una leadership che sa di poter “guadagnare” solo alla sua destra. E che si assicura il salvacondotto grazie a feudi locali intoccabili, talvolta al di sotto del minimo di moralità. Il “patto del Nazareno” è un mix di arroganza e di impotenza. Una metafora della normalità del trasformismo. La recente equiparazione di berlusconiani e antiberlusconiani non è un’intemperanza verbale, bensì il disvelamento della voglia di abrogare ogni conflitto.
La casa delle sinistre è in corso d’opera, ma la virata operata -tra gli altri- da Civati, Cofferati e Fassina non ha ancora portato ad una compiuta rottura della continuità. Però è un passo. Come è assolutamente significativa la disponibilità a rigenerarsi di Sinistra, ecologia e libertà; come quella omologa delle anime che hanno costituito la “Lista Tsipras”. In zona contigua si muove la coalizione sociale promossa da Landini. E riappare talvolta proprio lo spirito dell’Ulivo. Nonché i movimenti, che poco piacciono al presidente-segretario. Ma siamo alle “convergenze parallele”? Perché non fare del lancio degli otto referendum da parte dell’associazione “Possibile” un’occasione di confronto e di mobilitazione? E’ un lotta concreta, non futuribile. Del resto, la “società liquida” e l’esaurimento delle gerarchie verticali rendono attuale e inevitabile lo strumento referendario, da praticare nella finestra giusta, non ex post. Per inciso: sui referendum è calato un silenzio mediatico inquietante, lesivo di un diritto costituzionale. Qualcuno batta un colpo. Vogliamo fare un vago paragone con la copertura mediatica accordata agli argomenti di destra e xenofobi della Lega di Salvini?
Meno certezze, umiltà e disponibilità all’ascolto. Senza pre-concetti. Il rapporto con il Movimento di Grillo va praticato, in quanto lì si orienta un numero cospicuo di simpatizzanti ed elettori di ciò che chiamammo sinistra. E forse lì qualche disgelo è in atto. Le ambiguità –vedi innanzitutto il tema dei migranti- vanno contrastate, sapendo che la partita si può riaprire tessendo una tela complessa e tuttora fragile. Hic Rhodus, hic salta. Certamente, però, non basta. Torniamo al cenno iniziale. Serve una cultura politica alternativa, creativa e consapevole dei linguaggi e della semantica dell’era della rete. Il capitalismo cognitivo prende via via il sopravvento e il monopolio dell’economia digitale è appannaggio di pochi gruppi come Google , nel cui forziere sta l’algoritmo della conoscenza. Chi si occupa di queste cose? Qui dentro passa anche un’altra Europa, diversa dalla versione oligarchica che ha messo in ginocchio la Grecia. Troika cattiva, Tsipras in difficoltà. Se si perde là, di che vogliamo parlare? Insomma, una sinistra nuova –per usare ancora per un po’ il termine- ri-nasce se ha lo sguardo sul mondo ( le guerre; e le alleanze, la Nato: tabù?) e se accetta la sfida globale della migrazioni divenendo essa stessa sovrannazionale. Ottima la proposta di Valentino Parlato di “coordinare” il mezzogiorno d’Europa, pubblicata da “il manifesto” del 23 luglio scorso. Ed è lecito ragionare sul senso stesso dell’ odierna unione europea, il contrario esatto dell’ispirazione di Spinelli. Oltre tutto, l’attuale Pse è una controfigura pallida e sfuocata dell’esperienza socialista. E’ come uscito di scena. E tutto ciò che ha verve e futuro non passa nei luoghi della socialdemocrazia.
Pensiamo in grande, anche se siamo ancora piccoli. Solo così non ci estingueremo lentamente. Del resto, la storia procede per salti. La borsa cinese ci ricorda che non ridono né Atene né Sparta. La crisi ha bisogno per la stessa ecologia del sistema di un raggio di sole. Per la sopravvivenza, prima ancora del resto.
Fonte: “Il Manifesto”