Cécile Kyenge: «Il linguaggio utilizzato da una certa politica non aiuta, anzi tende ad acuire i conflitti. In questo clima inquinato dalle paure si vuole colpire il più debole e il più debole oggi è proprio il migrante»
Solo questo fine settimana sono stati oltre quattordicimila i rifugiati e richiedenti asilo entrati in Croazia dalla Serbia, secondo le autorità del luogo. Il flusso costante di persone disperate, da tempo ormai è in sensibile aumento e attraversa interi paesi per raggiungere le frontiere come via di fuga, passando anche via mare e toccando le isole Greche e l’Isola di Lampedusa. C’è chi parla di “emergenza umanitaria” e chi invece soffia sul fuoco per alimentare paure e chiusure. Abbiamo intervistato Cècile Kyenge, eurodeputata Pd ed ex ministra all’Integrazione, alla quale il Parlamento europeo ha assegnato il ruolo di correlatrice (con la maltese Ppe Roberta Metsola) del rapporto strategico su «La situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’Ue sull’immigrazione».
Onorevole Kyenge, è un’esagerazione parlare oggi di «emergenza umanitaria»?
«Quella che stiamo vivendo è un’emergenza umanitaria vera e propria. Anzi a mio avviso si può parlare di un esodo biblico. L’immagine mi è venuta in mente questo fine settimana, in occasione del viaggio in Ungheria, mentre guardavo quel fiume di persone che continuava ad arrivare alla frontiera, dove noi eravamo in missione di monitoraggio al confine tra l’Ungheria e l’Austria. Quella marea di persone in cammino mi ha ricordato l’esodo narrato nell’Antico Testamento. Abbiamo potuto contare più di tremila persone in fila per ottenere un permesso per passare dall’altra parte. Molte di queste chiedevano a noi dove poter andare, quale fosse la giusta direzione. La confusione regnava sovrana. Erano tutte persone perse, spaesate, stanche, in fuga, una fuga non organizzata. E’ stato duro vedere donne, bambini e uomini debilitati da questi lunghi e difficili viaggi, in balia degli eventi. Chi, dunque, soffia sul fuoco per alimentare le paure fa un gioco strumentale e approfitta di questo periodo drammatico, che vede anche una crisi economica difficile da superare e che rende tutti più preoccupati e irrequieti. Il linguaggio utilizzato da una certa politica non aiuta, anzi tende ad acuire i conflitti. In questo clima inquinato dalle paure si vuole colpire il più debole e il più debole oggi è proprio il migrante. È necessario che la politica faccia un passo in avanti, lavorando unita al proprio interno. Un passo importante che dev’essere fatto immediatamente».
Le misure messe in campo dall’Europa, secondo lei, sono sufficienti?
«I numeri, in materia di migranti, che vengono discussi in Commissione e in Consiglio dopo due giorni sono già superati e le attese sono regolarmente disattese. Dunque è necessario trovare una soluzione che possa andare al di là dei meri numeri ma intervenire sulle cause che stanno determinando un fenomeno che muove intere popolazioni dalle loro terre di origine. Oggi dobbiamo investire sulla politica di cooperazione internazionale e sui rapporti tra l’Europa e l’Africa. È il momento di agire sia sul campo dell’immigrazione che della politica estera. Il Parlamento e la Commissione hanno compreso che i provvedimenti e le misure messe in campo non sono più sufficienti. Innanzitutto è necessario adottare le agende approvate. 40mila persone da distribuire e ricollocare su tutto il territorio europeo è stata certamente una misura straordinaria. Il Parlamento Europeo è stato poi capace di superare gli egoismi degli Stati membri mettendoli di fronte alle loro responsabilità – in nome di quella equa ripartizione delle responsabilità – ed ha poi fatto una risoluzione d’urgenza per aggiungere altre 120mila persone per arrivare così a 160mila. Tuttavia, i numeri di cui stiamo parlando rappresentano solamente lo 0,11% di tutta la popolazione europea e quindi sono molto bassi se pensiamo che paesi come il Libano, la Turchia, la Giordania hanno accolto al loro interno rifugiati che provengono dalla Siria con numeri che partono dal milione di presenze. L’Unione Europea, uno dei continenti più industrializzati e con 500 milioni di abitanti, non dovrebbe semplicemente limitarsi a fare la distribuzione, ossia la solidarietà interna gestendo l’accoglienza e l’integrazione, ma dovrebbe anche adoperarsi per una solidarietà esterna: attivando corridoi umanitari proprio per alleggerire il carico di accoglienza dei paesi sopra elencati».
La Federazione delle chiese evangeliche in Italia insieme alla Comunità di Sant’Egidio sta promuovendo – grazie ai fondi 8permille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi – l’attuazione di canali umanitari che, attraverso il Marocco e probabilmente il Libano, possano garantire alle persone in fuga un percorso dignitoso e nel rispetto dei diritti umani.
«Sono favorevole e credo che ogni persona debba fare la propria parte. In questo periodo siamo di fronte ad un populismo dilagante che ha strumentalizzato questa situazione e ad una politica di basso livello, da campagna elettorale. Noi invece dobbiamo guardare oltre, essere lungimiranti e concreti mettendo le persone al centro delle nostre azioni. Tutte le associazioni e le chiese lavorano in questa direzione stanno contribuendo a fare quel qualcosa di concreto che oggi è necessario, buone pratiche che possono e devono essere istituzionalizzate. Dobbiamo guardare al presente e alle generazioni future».
La preoccupa il clima di odio e risentimento che serpeggia, più o meno velatamente, in Europa?
«Come rappresentante politico e come donna delle istituzioni ho il dovere di mantenere alta l’attenzione su ciò che accade in Europa e anche quello di trasmettere messaggi che possano contrastare i conflitti e i discorsi di odio e razzismo e di prevenire il fenomeno cross mediale dell’hate speech. In Ungheria ad esempio ho visto un paese spaccato a metà, mentre oggi l’immagine dell’Ungheria data dai media è solamente quella del muro delle censure. L’Ungheria è divisa tra il paese che sostiene il muro di Orban, che io condanno in tutte le sedi in cui posso parlare, e una popolazione che rappresenta quella società civile che risponde con la solidarietà alle richieste di aiuto e che ospita i profughi che cercano di raggiungere l’Austria. Molti cittadini ungheresi, ogni giorno, si riuniscono per dare sostegno ai migranti attraverso la donazione di abiti, cibo e medicine, ma soprattutto per portare il loro saluto e la loro vicinanza. Di tutto questo si parla poco. L’odio e il razzismo fanno certamente più notizia della solidarietà e dell’empatia. Volevo ricordare che quello che oggi sono e rappresento lo devo ad un sacerdote, un profugo ungherese, che ho conosciuto in Italia e che fu il primo a darmi aiuto quando ne avevo bisogno».
A volte le coincidenze sono crudeli. Proprio lo stesso giorno in cui il nostro Senato reputava che dandole «dell’orango» l’ex ministro Calderoli non abbia compiuto un atto di discriminazione e incitamento all’odio razziale ma bensì di diffamazione, in Francia un giornale veniva condannato per istigazione all’odio razziale per aver definito «scimmia» la ministra della Giustizia Christiane Taubira. Si è sentita lasciata sola dal Pd?
«Sono indignata e andrò avanti nella mia battaglia di civiltà. L’odio razziale non può essere strumentalizzato da nessun partito, né banalizzato. Questa non è una causa personale, ma collettiva. Una battaglia di civiltà per le future generazioni che avranno tratti somatici diversi e che vivranno in una società multiculturale e multireligiosa. Faccio io una domanda: sarebbe bastato ad un comune cittadino pentirsi per non andare al processo? Ricordare quanto avvenuto in Francia, con quel pronunciamento diverso, è importante per capire che la mia non è una questione personale e che in altri paesi si muovono diversamente rispetto a certe situazioni. Io andrò avanti in questa battaglia e tutti i giorni nella mia pagina facebook posterò un messaggio di solidarietà di persone che mi sono state vicine per far capire che questi fatti non possono essere archiviati come se nulla fosse accaduto. Sono rimasta basita dalla scelta presa dal Senato italiano».
A lei è stata affidata dall’Unione europea la gestione dell’emergenza Mediterraneo. Quali strategie state mettendo in campo?
«Abbiamo fatto un lungo lavoro iniziato a dicembre e prodotto due risoluzioni. L’ultimo dossier, di aprile, contiene otto punti centrali. Tra i quali la ricerca e il salvataggio nel mare attraverso l’equa ripartizione delle responsabilità. L’Italia dunque non è più sola e oggi vede l’aiuto di tutti i paesi europei. Con il rafforzamento di Triton abbiamo, di fatto, creato i presupposti per un Mare Nostrum europeo. Poi la lotta al traffico di esseri umani; il rafforzamento delle vie legali; il rapporto dell’Europa con i paesi terzi di origine dei migranti ed ancora, il pacchetto di asili, il superamento del regolamento di Dublino e la politica comune su immigrazione e asilo. Il futuro dossier sarà la base per tutte le prossime politiche europee».
Fonte: Riforma.it