Un delizioso corto del compianto maestro di cinema –il portoghese Manoel de Oliveira- ci mostrò l’alienazione particolare che comporta l’uso del telefono cellulare, e quest’ultimo era ancora nella fase ascendente. Tra gli effetti collaterali di quel successo mostruoso vi è il fenomeno della “domestication”, vale a dire l’ingresso, l’incorporazione del mezzo nei tic della quotidianità. Va da sé che le conversazioni telefoniche sono spesso una voluta e insistita modalità di relazione, sostitutiva di dialoghi diretti di ben diversa intensità umana. Il ceto politico e i gruppi dirigenti passano una cospicua parte del loro tempo al telefono: un non luogo perfetto, surrogato di una comunicazione più profonda ma troppo impegnativa. Una seconda vita sostitutiva della prima, quella reale. Se telefonando… cantava Mina. Tutto questo per dire che la tentazione di limitare le intercettazioni (lecite, ovviamente) o di impedirne la pubblicazione significa obbiettivamente una cosa sola: censura. E sì, visto che i dialoghi telefonici sono grande parte dei rapporti sociali.
Attenzione, allora, a maneggiare ancora una volta una materia delicata, che tocca l’autonomia dei magistrati e dell’informazione. Senza la divulgazione delle conversazioni utili a svelare le pieghe nascoste dei poteri o della criminalità organizzata, non sapremmo pressoché nulla di crimini, delitti, stragi o corruzioni. Non c’è altra via, dato il ricorso massivo al telefono. Insomma, lì si svolge il discorso pubblico, e privato. Ha detto con precisione il segretario della Federazione della stampa Lo Russo che il rischio per il diritto di cronaca è serio. È bene, allora, stralciare l’articolo 29 del disegno di legge sul processo penale, che delega il governo proprio su di un tema così scivoloso. Tra l’altro, esistono già codici deontologici, norme e indirizzi: da far rispettare contro gli abusi. L’eccesso di normazione porta confusione, non maggiore rigore.
E’ augurabile che il ministro Orlando ci ripensi: l’argomento esca dalle insidie vendicative del dibattito politico, per entrare nel dialogo con e tra le parti interessate. Per arrivare ad una specifica Carta dei diritti e dei doveri. E guai a cedere a tentazioni vessatorie, ad evocare carcere e repressioni. Non a caso si verificò l’incidente dell’emendamento del Nuovo Centro Destra sulle registrazioni abusive: da colpire, ma in modo selettivo, senza intaccare l’articolo 21 della Costituzione. In questo, purtroppo, una rondine fa primavera. Quel testo fu attenuato grazie ai deputati Ermini e Verini. Tuttavia, ci ha dato il senso del clima che si respira. Saremo costretti a scendere ancora una volta in piazza, come quando governava Berlusconi?