La gente di Cizre, nel Kurdistan del nord, quello turco per intenderci, è molto politicizzata, molto attiva nella rivendicazione dei diritti e alle rimostranze in merito ai soprusi che da anni è costretta a subire. In questi giorni è protagonista delle cronache per via di quanto sta accadendo di tragico in questa che sta divenendo la città simbolo della resistenza curda in Turchia. Se a Kobane la gente è stata difesa da YPG/YPG dall’assedio di Isis e dai giochi poco limpidi di Erdogan, qui di fronte all’assedio delle forze speciali turche è scesa in piazza la gente. Come nel 1992, in quello che chiamano “serhildam” (testualmente: ribellione popolare, resistenza) che vide migliaia di persone per le strade a protestare; anche questa volta la gente di Cizre ha fatto lo stesso.
Risultato: coprifuoco per una decina di giorni e presenza di militari e polizia speciale nelle strade. Durante le manifestazioni hanno perso la vita ventidue civili, ma il numero potrebbe crescere ulteriormente. Tra le vittime, bambini, anziani, madri e padri di famiglia. Nella lista nessun combattente o facente parte del Pkk. Nemmeno l’ombra. Eppure è per questo, che Erdogan assedia questa e altre città, perfino Dyerbaikir. Anche lì ci sono state due vittime, nel quartiere di Sur. Colpite da questi attacchi anche Batman e Silopi che forse qualcuno ricorda perché a inizio agosto l’aviazione turca l’ha bombardata e le immagini hanno fatto il giro del mondo. Per giorni a Cizre nessuno è potuto entrare o uscire dalla città.
Chi l’ha fatto ha guadato il fiume per riuscirci. Non c’erano altri mezzi. I feriti non hanno potuto raggiungere gli ospedali perché i cecchini glielo impedivano. Addirittura per giorni sono state negate le sepolture, tanto che le famiglie sono state costrette a tenere i corpi dei cari defunti nei congelatori. Proprio il 15 settembre scorso una delegazione di avvocati internazionali è riuscita ad entrare in città. Stanno raccogliendo testimonianze e verificando le notizie per potere poi inviare alle Nazioni Unite un documento che segnala le violazioni dei diritti umani della convenzione di Ginevra. Il governo turco di fronte agli attacchi ricevuti si difende parlando di legittima difesa dei propri soldati che hanno sì subito delle perdite, ma non certo nei pressi delle città. L’accordo di pace è saltato, probabilmente ben prima dell’attentato di luglio a Soruc, dove hanno perso la vita trentatré giovani.
Di sicuro Erdogan e il suo partito pagano il risultato elettorale e il successo dell’HDP lo preoccupa non poco. E infatti, le città aggredite sono quelle in cui HDP ha raccolto maggiore consenso. Non va inoltre dimenticato che anche le manifestazioni in città non curde sono state represse. A Istanbul, Ankara e Izmir tanto per fare un esempio. Espulsi giornalisti stranieri, incriminati quelli locali che filmavano gli arresti dei manifestanti. Il clima è molto pesante. Alle urne si torna il primo novembre in un Paese che è passato da confinare con territori teatro di conflitti ad avere una guerra in casa. Autoproclamata.
Intanto in questi giorni presenti nel territorio del Kurdistan turco una settantina d’italiani che sono andati a chiedere al governo turco l’apertura di un corridoio umanitario per Kobane. Organizzata da UIKI onlus (ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia), ha coinvolto attivisti del Rojava Calling, Rete Kurdistan e associazioni varie. L’espressione della società civile italiana che non vuole restare in silenzio di fronte a questo ennesimo massacro.