Italo Calvino, trent’anni fa. Trent’anni in cui è successo di tutto, in cui il mondo è cambiato radicalmente, perdendo ogni stilla di serietà e divenendo, al contrario, sempre più cupo, sempre più serioso, totalmente privo di quella leggerezza armonica e briosa che è il contrario della fatuità, della futilità e della frivolezza insulsa nelle quali siamo immersi.
Italo Calvino e le sue fiabe; Italo Calvino e le sue storie avvincenti e ricche di metafore, fin dai titoli; Italo Calvino e il suo inno continuo alla forza della vita, del candore e dell’innocenza, contro ogni barbarie, contro la brutalità e l’ipocrisia degli uomini, contro i loro voltafaccia, le loro azioni sconsiderate, i loro insostenibili cedimenti morali.
Italo Calvino e un’esistenza breve ma comunque intensa, ricchissima di ideali, di passioni, di articoli, di racconti, di romanzi; Italo Calvino come sinonimo di vitalità intellettuale, fervida conoscenza dei singoli fenomeni e della complessità dell’insieme degli stessi ma anche come simbolo di lotta contro le ingiustizie e il cancro del conformismo, che condannò al momento della repressione sovietica in Ungheria, dissociandosi e abbandonando un partito che aveva scelto di schierarsi dalla parte dei carnefici anziché al fianco di un popolo oppresso e in cerca di libertà.
Perché Calvino, al pari delle sue opere, era soprattutto questo: un costante inno alla libertà, all’abbattimento dei muri e delle barriere, a cominciare dai pregiudizi e dall’incapacità di cogliere ciò che di buono c’è negli altri; e i suoi personaggi altro non sono che dei portavoce di questo costante tentativo di esplorare, di conoscere, di capire, di difendere dei princìpi sacri, sanciti dalla nostra Costituzione, e di andare alla ricerca di volti, di storie, di speranze antiche e, insieme, modernissime, di comporre un quadro fantastico eppure così reale, vivo, profondo, capace di parlare a una società in costante trasformazione ma ancora ostaggio di vecchi schemi e di modi di pensare ormai superati.
Italo Calvino e un grido costante di indomita giovinezza, di quella bellezza partigiana soffocata da un corso storico non in linea con le speranze e le aspettative dei ragazzi di allora, rammaricati per le delusioni, costretti a fare i conti con una realtà amara eppure mai paghi di sognare, di credere ancora in un possibile cambiamento, mai stanchi di illudersi, a costo di sembrare ingenui.
Italo Calvino e la sua straordinaria rettitudine morale, il suo coraggio di opporsi alla vulgata corrente, di percorrere la strada al contrario, di non cantare col coro e di condannare ciò che andava condannato, anche a costo di sopportare l’isolamento e le critiche, anche a costo di dover abbandonare la propria casa politica a causa di divergenze insanabili.
Italo Calvino e le nostre tristi riflessioni, colme di nostalgia, quasi rassegnate, su quanto sarebbe utile avere oggi intellettuali così, in questo universo della sinistra mai tanto povero di idee, di prospettive, di valori, mai tanto fragile sul piano del dibattito culturale.
Italo Calvino: basta un nome e un cognome per sentire sulle labbra il fresco vento di un pensiero che resiste, che non si ferma, che è giunto fino a noi ed è destinato ad andare oltre, a candidarsi all’eternità, ad abbattere le barriere dell’ignoranza, del disprezzo per il sapere o, più semplicemente, dell’indifferenza che caratterizza classi dirigente misere e drammaticamente autoreferenziali.
Italo Calvino e un guizzo di memoria che zampilla limpido dalla fontana dei ricordi, che rimane impresso nelle pagine di libri memorabili e che ancora riesce a comunicare con le nuove generazioni, a dimostrazione di quanto siano attuali e universali certi concetti e determinati valori.
Italo Calvino e l’imbarazzante certezza che, probabilmente, non avrà eredi, per il semplice motivo che oggi siamo troppo presuntuosi, troppo gretti, troppo superbi, troppo inutilmente pensosi per riuscire nella sublime arte di castigare ridendo e di commuovere con semplicità, come da sempre solo i grandi sanno fare.