Né cori, né slogan, né canzoni e neanche colore politico. Solo persone che marciano insieme, senza scarpe, per chiedere politiche migratorie nel rispetto dei diritti umani fondamentali.
Sono le 17.15. Piazza Italia è semideserta. I volti un po’ agitati degli organizzatori sembrano preannunciare la sconfitta: “Perugia non ha rispoto al richiamo della solidarietà”. Ma passa una manciata di minuti. Dieci al massimo. Da piazza Matteotti una flotta di gente arriva senza preavviso. Il centro si riempe. La bandiera della pace si alza in cielo. Silenziosi si tolgono le scarpe nello stesso momento. Bambini, uomini, donne.
È la marcia degli scalzi, così è stata soprannominata. E mentre corso Vannucci si riempe, nessuno sa che l’ennesimo trafficante di vite umane è stato appena arrestato. Trasportava nel suo camion 33 siriani. Ma oggi, 11 settembre, da nord a sud, c’è chi è sceso per strada, doverosamente scalzo, per dire basta a una morte che non trova più risposta.
A Perugia sono le 17.45, quando gli organizzatori danno il via alla manifestazione. Poche parole di preambolo. Quelle che bastono per ricordare le vittime risucchiato dal mar Mediterraneo. Non c’è rabbia nelle brevi frasi, ma solo voglia di umanità. Vengono chiesti due minuti di silenzio. Basta guardarsi intorno per essere rapiti dai volti di chi quella traversata l’ha fatta. Di chi in quelle acque ha lasciato amici, parenti, genitori e adesso si trova qui, in questa piazza. Si trova in quella parte di mondo più fortunata a manifestare contro un “sistema che non funziona”, come è stato ricordato dagli organizzatori.
Saranno, anzi saremo, in cinquecento. La marcia ha inizio. Non ci sono cori, né slogan, né canzoni. Ma soprattutto, per una volta almeno, non c’è colore politico. Ci sono solo persone che marciano insieme, senza scarpe, per un unico concetto sovrano: la solidarietà. La stessa che pretondono da un’Europa rimasta per troppo tempo immobile di fronte a quello che aveva sin dall’inizio tutti i presupposti per divenire in poco, anzi pochissimo, tempo un disastro di proporzioni epocali. Un disastro che conta dal solo inizio del 2015 ben 2748 annegati.
Ma l’Europa, o meglio la Germania, ha dovuto attendere la foto di Aylan, il bambino trovato senza vita sulle spiaggie della Turchia, prima di fare i conti con la coscienza. Prima di aprire le frontiere e dare un nuovo, atteso, spiraglio di apertura nei confronti di chi fugge da guerra, fame e distruzione. Oggi, 11 settembre, lo stesso giorno in cui raffiorano le immagini delle Torri Gemelle (data forse non scelta a caso) l’Italia e Perugia hanno risposto. Hanno risposto a quella necessità di vivere in un mondo migliore.