25 palestinesi uccisi dall’inizio dell’anno nei Territori Occupati. Iniziata la costruzione del muro a Cremisan.
Articolo di: Chiara Cruciati – Nena News
Un altro palestinese ucciso, 25 ormai dall’inizio dell’anno nei Territori Occupati. Ieri a morire sotto il fuoco israeliano è stato Mohammed Abu Amsha, 26 anni. È stato colpito al checkpoint militare israeliano di Zaatara, vicino Nablus, solo due giorni dopo l’uccisione di Rafeeq Kamil Rafeeq al-Taj, 21 anni, a Beita, sud di Nablus.
L’accusa è sempre la stessa, da parte dei soldati: stava tentando di accoltellare un poliziotto di frontiera. Secondo la portavoce dell’esercito Rafeeq avrebbe tirato fuori un coltello e cercato di colpire un ufficiale israeliano dopo aver finto di sentirsi male. Per questo è stato centrato dalle pallottole dei colleghi per ben quattro volte, al collo, allo stomaco e alle braccia.
Diversa la versione palestinese: secondo funzionari della sicurezza dell’Anp, il giovane non aveva con sé la carta d’identità. Dopo essere stato ucciso, i soldati hanno impedito all’ambulanza di soccorrerlo. È stato portato nella vicina base militare di Huwwara e poi riconsegnato alla famiglia, una volta identificato.
Negli ultimi mesi il numero di palestinesi, tutti molto giovani, uccisi come Rafeeq e Mohammed, sta crescendo a dismisura. Così anche il numero di feriti: almeno 37 a settimana, secondo le Nazioni Unite. E alla violenza fisica si aggiunge quella verso le terre, la principale fonte di sostentamento del popolo palestinese. Ieri è successo quanto si temeva da tempo: i bulldozer dell’esercito sono arrivati nella valle di Cremisan, a Beit Jala, nel distretto di Betlemme, e hanno sradicato oltre 100 alberi di ulivo di proprietà dei residenti palestinesi del villaggio (le famiglie Al-Shatla, Abu Eid, Abu Ghattas, Abus Saada, Khaliliya e Abu Mohor).
Lì, lungo quel percorso sarà costruito il muro di separazione e annessione: l’azione si è verificata a Bir Onah, vicino alla colonia di Gilo, costruita per buona parte sulle terre di Beit Jala. I bulldozer hanno livellato un’area grande 30 dunam (un dunam è pari a 1000 metri quadrati). Tutto ciò nonostante la Corte Suprema israeliana abbia recentemente stabilito di spostare il percorso pianificato del muro, dopo nove anni di manifestazioni, proteste e azioni legali da parte del villaggio palestinese. Una vittoria a metà: la Corte ha deciso che il muro poteva essere costruito su un percorso alternativo che avrebbe comunque separato il noto monastero salesiano di Cremisan dalla comunità palestinese.
Inutili sono state le proteste dei tanti accorsi ieri sul luogo dello sradicamento, tra cui molti leader dei comitati popolari dei villaggi vicini. Per questa mattina è prevista un’altra manifestazione ma – come dice a Nena News il giovane attivista George Abu Eid (la cui famiglia ha perso parte delle proprie terre) – “manifesteremo e protesteremo ma la speranza che avevamo ormai è scomparsa. Sappiamo di andare avanti senza poter ottenere nulla. Per questo stiamo scrivendo e contattando organizzazioni e amici all’estero: l’unica opzione è la comunità internazionale”.
Da perlapace