Un’estate drammatica per quanto riguarda il fronte giovanile: ragazzi morti mentre inseguivano un’assurda felicità chiamata “sballo”, ossia la negazione stessa della felicità, e ragazzi che in una discoteca hanno pensato bene di stuprare una turista americana e di concedersi l’indomani un selfie, esibendo trionfanti le immagini su Facebook, come se nella loro inciviltà fosse possibile riscontrare anche un solo motivo di cui andare fieri.
No, non veniteci a raccontare che è sempre successo, che l’estate è fatta così, che son ragazzi, che bisogna capirli, che qualche sciocchezza a quell’età l’abbiamo compiuta tutti, che bisogna essere comprensivi e via andando, in un vortice senza fine di frasi fatte, luoghi comuni e minimizzazioni stupide che servono solo a noi adulti a ripulirci la coscienza che non abbiamo o che, se ce l’abbiamo, è lurida.
Perché i ragazzi che muoiono nelle discoteche o si vantano con gli amici di aver assunto questa o quella sostanza, i ragazzi che si trasformano in un branco feroce, i ragazzi che si mettono al volante in stato di ebbrezza, i ragazzi che rincasano alle sei di mattina dopo aver trascorso l’intera nottata non si sa dove e non si sa con chi sono i nostri figli e fratelli minori dei quali ci siamo beatamente dimenticati nella fase più delicata della loro esistenza, quando fragilità, dubbi, incertezze, ansie, paure e preoccupazioni ti lacerano dentro e non sai dove andare, cosa vuoi essere, cosa ti interessa davvero nella vita, non hai ancora ben definito la tua scala di valori e purtroppo non trovi, dati i tempi, ideali e modelli cui ispirarti per passare senza traumi eccessivi dalla dorata stagione dell’adolescenza a quella complessa dell’età adulta.
È inutile, dunque, lavarsi le mani o far finta di non saperne niente: è inutile e ipocrita. I veri assassini di quei ragazzi non sono i “pusher”, spesso a loro volta ragazzi incoscienti, che hanno venduto quelle pasticche senza nemmeno sapere cosa contenessero: i veri assassini siamo noi, con la nostra indifferenza, il nostro cinismo, il nostro pensare solo a noi stessi, il nostro illuderci che il miglior modo di prendersi cura di un figlio o di un fratello minore sia mettergli in mano quattro soldi e mandarlo a divertirsi, senza averlo educato, senza essergli stato accanto nei momenti in cui avrebbe avuto bisogno di noi, senza esserci mai assunti una sola responsabilità, semplicemente perché non ne siamo in grado, tanto siamo diventati infantili e peterpaneschi in ogni nostro atteggiamento.
Allo stesso modo, non ha senso nemmeno girare troppo intorno alla vera radice di questo male endemico che sta lacerando e distruggendo la nostra società: i ragazzi che si lasciano travolgere dalla curiosità morbosa del proibito, tranne rare eccezioni, non sono delinquenti in erba ma persone normalissime, brave a scuola, studiose, rispettose nei confronti del prossimo ma fatalmente attratte, per l’inconsapevolezza propria della loro età, anche comprensibile, dal gusto della trasgressione e della novità, dal desiderio di provare qualcosa di “forte” e di diverso dal solito, dalla volontà di confondersi nel gregge, anche se magari avrebbero tutti i mezzi, anche culturali, per tenersene distanti. Già, e noi dove siamo? Come detto, i veri responsabili di questa strage silenziosa, gli assassini in incognito dei loro figli, sono quei genitori che arrivano a quaranta-cinquant’anni e rivelano ancora una tragica immaturità: educatori insicuri, privi di una base valoriale solida, cresciuti negli anni dell’individualismo sfrenato e dell’elogio dell’egoismo, formatisi a suon di trasmissioni idiote e serie televisive cretine o, peggio ancora, convinti, quasi esaltati dall’idea che fama e successo siano tutto, pertanto intenti ad occuparsi unicamente di se stessi, dei propri profitti, dei propri avanzamenti di carriera sul luogo di lavoro, considerando implicitamente i figli alla stregua di giocattoli, quasi un disturbo dei propri piani di vita, soprammobili cui al massimo concedere qualche carezza ogni tanto e da tener buoni a colpi di vizi e stravizi purché non ostacolino il proprio glorioso cammino.
Ovviamente, nel portare avanti questa tesi, non ci riferiamo al caso specifico delle famiglie coinvolte in questi mesi da un simile dolore: non le conosciamo e non abbiamo alcun elemento per metterne in dubbio la solidità e la rettitudine; il nostro è un discorso generale, di analisi sociologica di un fenomeno che, al pari della morte, non guarda in faccia nessuno e, anzi, si abbatte più facilmente sui figli di buona famiglia che sugli scavezzacolli, in quanto i primi hanno meno difese rispetto a chi è nato e cresciuto in certi ambienti e, quindi, percepisce più facilmente l’entità del pericolo.
Quando parliamo di assassini, ci riferiamo a quei genitori che hanno rinunciato al loro compito educativo, anche se i loro figli sono ancora vivi e vegeti, a chi ha inoculato nelle vene della nostra società il virus del “liberismo sociale”, degno figlio di quello economico, a chi ha considerato, anche in politica, le persone sobrie e normali noiose, pertanto da denigrare e sostituire alla svelta con soggetti per i quali non mi vengono in mente parole più efficaci di quelle pronunciate, sempre quest’estate, da monsignor Galantino, a chi ha fatto gonfiare a dismisura questa bolla speculativa dell’eccesso, dell’anormalità, dell’estremo, dell’uscita da ogni canone di razionalità, finché questa bolla non è esplosa, scatenando la propria furia devastatrice sui soggetti più fragili, con la vigliaccheria tipica degli agenti sterminatori, i quali non perdonano alcuna debolezza, alcun cedimento, alcuna esitazione.
Una generazione, per lo più, felice di annientarsi, convinta di star facendo la cosa giusta e di potersela sempre e comunque cavare: questa è buona parte dell’universo giovanile contemporaneo, non certo solo per colpa sua ma principalmente a causa di chi ha privato le nuove generazioni di qualunque prospettiva lavorativa, di una scuola adeguata, di un futuro in cui a dominare non sia solo la certezza di non avere sbocchi.
Una generazione tendente al nichilismo, al secolarismo, al fatalismo che spesso si comporta come se non ci fosse un domani, come se non avesse ancora tutta la vita davanti e un avvenire da costruire, forse perché non lo vede, forse perché ormai si è rassegnata a non averlo, forse perché, semplicemente, il modello educativo lassista che è prevalso negli ultimi trent’anni ha spogliato i nostri ragazzi di ogni consapevolezza.
Atomi incoscienti, soli, sballati, allucinati, in preda a un costante senso di alienazione e straniamento: questo rischiano di diventare molti dei nostri adolescenti e anche coloro che adolescenti non son più ma faticano ad accorgersene. E chi nega il fenomeno o, leggendo queste note, parla di pessimismo cosmico, esagerazione e altre fesserie auto-assolutorie, è la stessa categoria di ipocriti che versa lacrime di coccodrillo quando questa felicità artificiale si trasforma in tragedia, costringendo l’intera comunità a porsi domande al momento senza risposta.