Elena, siciliana di nascita e fiorentina d’adozione, è una donna transessuale attivista per i diritti umani, nel Maggio del 2000 venne sottoposta ad un intervento di ri-attribuzione del sesso presso l’Ospedale San Camillo di Roma, nel 2010, a causa di una riduzione della cavità vaginale, dovette nuovamente ricorrere alla chirurgia e da quel momento per lei è iniziato un calvario che ancora ad oggi sembra non avere fine.
Elena ci racconti in breve la tua storia medica?
Ho cominciato a fare uso di ormoni e vestirmi da donna a 13 anni, nel ’95 ho iniziato l’iter burocratico per essere inserita nella lista di attesa dell’ ospedale San Camillo di Roma per sottopormi all’ intervento di ri-attribuzione del sesso. Il 17 maggio del 2000 ho coronato questo sogno e un anno dopo ero donna anche sui documenti. Una vagina ricostruita va curata, il rischio maggiore è che tenda ad accorciarsi se non si hanno rapporti sessuali o non si inserisce il tutore che ne mantiene la forma almeno due notti a settimane. Purtroppo la mia si era accorciata, così nel febbraio del 2013 mi sono sottoposta a un nuovo intervento con prelievo di tessuto per allungare la cavità. Una settimana dopo mi sono accorta di avere piccole perdite di feci dalla vagina. Si era creata una fistola. Va detto che l’ intervento fu eseguito senza che fossero rispettati i protocolli presenti nell’iter dell’ ospedale, infatti la pelle mi fu prelevata dal braccio e non dalla zona perianale come da prassi. Non ricevetti cure per tre mesi, mi fu detto di nutrirmi solo di liquidi e che la fistola si sarebbe chiusa da sola. Ma così non è stato, anzi, la fistola si era allargata, tanto che a un certo punto fui costretta a portare i pannoloni come le persone anziane non autosufficienti. Soffrivo di dolori terribili, bruciori, andavo avanti a cortisone e antibiotici. Finalmente si decisero a rioperarmi nel maggio del 2013. Mi chiusero la fistola ma anche la vagina nel punto in cui era stato innestato il tessuto; praticamente ero andata ad operarmi con una vagina della profondità di 10 cm e me ne ritrovai una profonda solo 4 cm. Due giorni dopo l’ intervento mi accorsi di avere ancora perdite dalla vagina, venni visitata e il medico (sempre lo stesso) mi disse che bisognava deviare l’ intestino. Rifiutai di farmi operare da lui, volevo scappare da quell’ ospedale, ma avevo una fistola ero debilitata, stavo in una città he non era la mia e fui costretta a rimanere. Mi operò un altro medico, ma avendo presentato un reclamo all’ URP dell’ ospedale fui tenuta isolata, messa in un letto di una stanza adibita a sgabuzzino: per una settimana nessun medico venne a visitarmi finché mia madre, che era venuta a trovarmi, protestò all’ accettazione. Non mi fu cambiato il catetere per tutto il tempo del ricovero, né presa la temperatura, venni nutrita con le parenterali, flebo da due litri, quello fu un periodo durissimo: ero partita per un ricovero di 5 giorni e invece rimasi un mese in ospedale. Molto probabilmente, poiché avevo osato reclamare all’ Urp, partì la macchina del fango. Ero pazza, drogata, pericolosa, trattavo male gli infermieri e mi toglievo le flebo da sola. Quando venni dimessa mi dissero: “Tra sei mesi la fistola si chiude, torni e ti sistemiamo l’intestino e sotto non fare più niente, se proprio devi fare ti giri e dai il culo “. Appena mi rimisi un po’ in salute denunciai quanto mi era accaduto in quell’ ospedale, ma mi si ritorse tutto contro, nessun ospedale volle in seguito curarmi finché non misi in atto delle forme di protesta che fecero molto rumore e così la Regione Toscana fu costretta a muoversi, nell’ aprile del 2014 mi veniva chiusa la fistola in un ospedale di Firenze. Sono guarita da un anno ma ancora oggi nessuno vuole intervenire per ricostruirmi la vagina e rimettermi a posto l’ intestino.
Non esistono associazioni che possono tutelare le persone che come te hanno avuto problemi in seguito ad una richiesta di ri-attribuzione del sesso?
Le associazioni, quelle più grandi, sono autoreferenziali e molte sono vicine agli ambienti ospedalieri; spesso cercano di dissuadere chi vuole denunciare. So per certo che ci sono scambi di favoritismi tra alcune associazioni e ospedali; le associazioni mandano le persone transessuali da un certo medico di un certo ospedale e in cambio ricevono donazioni, inviti a convegni e anche interventi gratuiti di chirurgia estetica, tutto questo sulla pelle delle transessuali che mandano al macello. Rappresentano solo i loro interessi.
Le strutture sanitarie non dovrebbero cercare di risolvere problemi di salute come il tuo indipendentemente dal medico che ha creato problemi o che si è dimostrato incapace di dare una degna assistenza ai suoi pazienti?
Dovrebbero, ma cane non morde cane; forse c’entra anche la transfobia; noi siamo meno persone di altre e i centri che in Italia praticano questo tipo di interventi sono pochi; i medici si conoscono tutti tra di loro e preferiscono mantenere buoni rapporti reciproci piuttosto che prestare le cure necessarie a chi ha subito danni gravi per l’imperizia di un loro collega.
I casi di malasanità che riguardano le persone transessuali vengono trattati dalle strutture mediche e dai media in maniera diversa da quelli che riguadagno le persone eterosessuali?
Assolutamente si, i media snobbano questo tipo di notizie, ancora sbagliano gli articoli e dicono un trans invece di una trans quando parlano di trans MTF e per loro siamo tutte prostitute, ma non è così e se qualcuna è costretta a prostituirsi è perché le è negato di fare altro. Il 60% delle persone transessuali italiane non lavora o non ha mai lavorato perché discriminato.
Quali sono le difficoltà che una persona transessuale si ritrova ad affrontare nel nostro paese?
Il riconoscimento sociale come persone che passa soprattutto attraverso il lavoro, finché l’ unico lavoro possibile sarà la strada vivremo sempre ai margini.
Pensi che una mancata rappresentanza anche mediatica delle persone transessuali che svolgono attività lavorative comuni sia in effetti una delle cause di discriminazione?
Credo che contribuisca, purtroppo finché dei diritti delle persone transessuali si parlerà solo in programmi trash tipo “Pomeriggio5” saremo destinate ad essere viste come delle macchiette.
Se poi a rappresentarci sono trans che fanno le prostitute o le soubrettes non ne usciamo più.
Che poi chi ha investito queste persone del ruolo di rappresentare le persone transessuali?
La parola “transfobia” indica sia l’avversione prodotta dai pregiudizi e dalle stigmatizzazioni nei confronti delle persone transessuali o transgender, sia la paura soggettiva che alcuni provano verso queste. Al di là delle questioni culturali, perché il “diverso”, nonostante la scienza spieghi quanto siano infondate certe fobie, incute ancora paura?
Io direi che viviamo in un paese molto ipocrita, la transfobia esiste sicuramente, però i clienti delle prostitute trans sono milioni, sono gli stessi che la notte fanno il puttan tour e il giorno dopo ti scartano a un colloquio di lavoro.
Forse hanno paura che si scoprano le loro frequentazioni.
La legge attuale sul cambiamento di sesso non è stata ancora ripresa in esame da tempo, le persone che richiedono la ri-attribuzione di genere devono passare attraverso un iter che prevede fra l’altro la mutilazione dei genitali e una serie di colloqui con medici psichiatri. Quali tutele invece la politica dovrebbe attuare a favore di chi cerca di vivere a pieno l’identità sessuale che sente e che desidera?
La Legge 164 dell’ aprile 1982 è ormai una legge vecchia, che andrebbe modernizzata; la legge, va detto, fu fatta non negli interessi delle persone transessuali ma per fare guadagnare soldi a psicologi, psichiatri, avvocati, periti del tribunale e ospedali. La disforia di genere è considerata un disturbo della psiche da cui si guarisce sottoponendosi a una sterilizzazione forzata. Roba da Medio Evo.
In alcuni paesi l’appartenenza al terzo sesso è legalmente riconosciuta, in alcune nazioni come la Thailandia le persone transessuali vivono perlopiù in un clima di rispetto. In Italia ancora siamo lontani dalla completa accettazione da parte della società di queste persone, quanto sarebbe importante che anche nel nostro paese venga riconosciuto il terzo sesso?
Sarebbe un grande passo di civiltà, basta pensare che in Europa già molti paesi: Germania, Olanda, Danimarca, Croazia, riconoscono il terzo sesso. Addirittura la cattolicissima Malta da qualche mese occupa il primo posto nel mondo per aver fatto la Legge più avanzata che regola questo tema. A Malta non ci sarà più bisogno di sottoporsi a interventi demolitivi per vedere riconosciuto il proprio genere, nelle scuole ci saranno bagni per studenti e studentesse transessuali e sarà vietato per legge modificare i caratteri genitali di un bambino intersessuale: la scelta potrà essere fatta quando avrà preso coscienza del proprio genere di appartenenza.
Quanto ancora pesa l’influenza della chiesa sulla politica riguardo alla mancanza di leggi che potrebbero tutelare le persone appartenenti alla comunità LGBT e in particolare le persone transessuali?
La Chiesa fa la sua parte, mesi fa Bergoglio aveva definito le persone transessuali delle “Bombe Atomiche”, saremmo delle armi letali, eppure siamo una comunità molto pacifica.
Le responsabilità più grandi le ha la politica che non ci ha mai considerato forse perché siamo solo centomila circa in Italia non risultiamo un bacino elettorale appetibile. Ma la buona politica dovrebbe occuparsi in primis delle minoranze più discriminate. Invece veniamo spesso usate come arma di ricatto politico.
L’educazione del rispetto di genere è una materia fondamentale affinché un domani le persone non soffrano più a causa dell’omo-transfobia, ma i media, oltre a trattare poco questo argomento, non hanno cura di rappresentare le persone transessuali al di là degli stereotipi. Una donna o un uomo transessuale colto e preparato difficilmente trova spazio nei salotti televisivi o negli ambienti dove si dovrebbe fare cultura o parlare dei diritti umani. Spiegaci perché ritieni estremamente importante il mettere in luce figure che potrebbero amplificare la vostra voce.
Forse i media hanno paura, probabilmente amano proprio gli stereotipi, e quelle come me e siamo tante, siamo forse considerate pericolose perché siamo spiriti liberi non asserviti a Partiti o Associazioni.
Siamo scomode.
Il titolo precedente (che abbiamo provveduto a correggere) era sbagliato e fuorviante. Scritto in fretta e con poca attenzione. Me ne scuso direttamente con Elena (l’intervistata) e con l’autrice dell’intervista (s.c.)