All’alba del 12 agosto del 1944 tre reparti di SS accompagnati dai fascisti collaborazionisti che fecero loro da guide arrivarono a Sant’Anna di Stazzema, un piccolo paese sulle Alpi Apuane in Toscana, e iniziarono la strage.
560 tra donne, vecchi e bambini furono massacrati, esecuzioni con colpi di rivoltella, raffiche di mitragliatrici tra madri come pietà a invocare la misericordia per i propri figli. Infanti lanciati in aria come bersagli, urla strazianti mutate in silente speranza, desiderio di essere accolti in un cielo privo di bestie feroci e l’odore di morte dei roghi che in un frammento di vita hanno bruciato l’infanzia intera.
A tu per tu con il ricordo, oggi nel settantunesimo anniversario dalla strage, senza indugi in ognuno di noi devono riecheggiare i lamenti di un pezzetto di mondo che è stato cancellato. Imparare a vivere da quelle tre ore di orrore e di morte era forse l’unico modo per rendere giustizia alle vittime, ancor più della condanna all’ergastolo di dieci SS autori del massacro, ma la storia ci racconta di eccidi come quello di Srebrenica che gli uomini e le donne di Sant’Anna di Stazzema in questo giorno vogliono ricordare.
L’immagine di quei bambini di Sant’anna che giocano in girotondo, liberi, puri, miracoli di vita, deve restare nelle nostre menti, per vergogna, per disperazione, per colpa, per non averli saputi proteggere dal dolore, dimenticare i loro volti rende le nostre vite misere e senza senso