Di Pino Salerno
A pochi giorni dallo scandalo planetario determinato dal funerale trash del boss dei Casamonica, parte dell’opinione pubblica nazionale e personaggi del mondo politico tornano a farsi sentire chiedendo, abbastanza esplicitamente, la testa del sindaco di Roma, Ignazio Marino. Più volte su questo giornale abbiamo sottolineato che l’accerchiamento mediatico e politico attorno al sindaco Marino non ha precedenti nella storia della capitale. Neppure ai tempi nefasti della sindacatura di Gianni Alemanno, e della sua amministrazione così vischiosa e collusa coi poteri emersi e sotterranei di Roma, si era giunti a questo vero e proprio stillicidio di critiche (spesso ingiuste e immotivate), accuse (sempre allontanate nel merito) e richieste di dimissioni. E tuttavia, Ignazio Marino ha sempre tenuto duro, nonostante i rovesci e gli inciampi di questi mesi complicati e difficili, e la sostanziale antipatia politica che il premier Renzi nutre verso di lui. Forse, nessun sindaco di nessuna grande capitale è mai stato lasciato così solo ad amministrare una metropoli con mille e più problemi. E soprattutto dopo gli scempi e le scellerate gestioni della giunta Alemanno, che in un lustro è stata in grado di abbattere tutto quanto di buono per Roma s’era cercato di fare con Rutelli e Veltroni. La verità è che quanto è emerso dalle inchieste dei magistrati della Procura di Roma, guidati dal procuratore Pignatone, su Mafia Capitale, avrebbe travolto qualunque sindaco e qualsivoglia giunta, perché il livello di collusione e di corruzione è penetrato nelle mura stesse del Campidoglio. E invece di starsene buono e zitto, Ignazio Marino ha preferito denunciare, collaborare coi magistrati, rendere pubblica l’infiltrazione mafiosa in una capitale tollerante ed estremamente collusa. Cos’altro poteva fare? E insieme a queste scelte, Marino ha poi concordato con Renzi e col governo una nuova fase di rilancio e di recupero della città eterna, inserendo nella giunta capitolina nomi pesanti, come quelli di Marco Causi e Stefano Esposito, due parlamentari.
Sul sindaco Marino, invece di solidarizzare unitariamente, il Pd si spacca. Il “ragionamento” di Bonaccorsi
Ora, i funerali di un boss, sia pure così trash e scandalosi, aprono un ulteriore squarcio sulla presenza mafiosa a Roma. E questa è la luna. Qualcuno invece, soprattutto nel Pd, guarda il dito e coglie l’occasione per chiedere al sindaco Marino di dimettersi e di andare alle urne. Nella stessa giornata, sui giornali compaiono due interviste di esponenti importanti del Pd romano che conta, quella della presidente del partito del Lazio, la deputata renziana Lorenza Bonaccorsi, pubblicata dal Messaggero (il quotidiano dei Caltagirone in prima linea contro Marino), e quella di Stefano Esposito, renziano, senatore e attualmente assessore ai trasporti della giunta Marino. Incredibile, ma vero, due tesi contrapposte, due modi alternativi di vedere la città, due ipotesi politiche. Ciò che le interviste mostrano ampiamente, è che la maggioranza renziana del Pd romano è sostanzialmente frantumata, perfino sulle future alleanze. Partiamo dalla Bonaccorsi sul Messaggero. Titolone: “la giunta ora deve lasciare. Serve un progetto nuovo”. La presidente del Pd laziale chiede le dimissioni di Marino, esplicitamente, sul quotidiano, il Messaggero, che è in prima linea contro il sindaco. Sul piano comunicativo, una scelta errata, a dir poco. Sul piano politico, del tutto irresponsabile, proprio per la gravità del presente e gli impegni del breve periodo, col Giubileo alla porte. Le motivazioni della Bonaccorsi? Sono frutto “di un ragionamento complesso”, ma talmente complesso che la deputata, sollecitata dal giornalista, dimentica di articolarlo. Se avesse detto semplicemente “Marino mi sta antipatico e ho in testa un altro sindaco”, avrebbe fatto miglior figura. Invece, udite udite, Marino con la sua giunta “è intervenuto con forza, vigore, con azioni come con la nomina dell’assessore Sabella e il commissariamento di Ostia”. Però, aggiunge Bonaccorsi, tutto questo non basta, “tutti devono fare un passo indietro”. E perché mai? Ovvio, e lo sanno anche gli studenti di Scienze politiche del primo anno, che se Marino si dimettesse oggi, o domani, o agli inizi di settembre, al ritorno dalle vacanze, le dimissioni sarebbero vissute dall’opinione pubblica come un trauma, come un’ammissione di debolezza, anche del Pd, che è il partito di Marino, come l’ammissione delle responsabilità indirette per Mafia Capitale. È questo che si vuole? Però, la Bonaccorsi si spinge ancora oltre, e immagina scenari futuri di alleanze. Presumiamo che l’invito sia rivolto alle persone di buona volontà, “per accrescere un nuovo respiro ideale e culturale, superando personalismi e schieramenti”. Cosa vuol dire? Cosa nasconde, se non un progetto di alleanza prossima e ventura con il leader di qualche lista civica, che porta il nome di Marchini? Non a caso, il ragionamento “complesso” della Bonaccorsi l’abbiamo sentito pronunciare da esponenti della lista Marchini proprio a ridosso della vicenda Casamonica. I corvi dell’alleanza strategica tra parte del Pd e la lista Marchini volano sul Campidoglio.
L’assessore Esposito: “Non raccontiamoci balle. Non possiamo commissariare Roma”
L’analisi dell’assessore Esposito è l’altra faccia medaglia del Pd romano (in attesa che si pronunci il commissario romano e presidente dell’assemblea pd, Matteo Orfini). Il ragionamento di Esposito parte dalla constatazione della presenza di clan mafiosi a Roma, come dimostrano ampiamente inchieste, sequestri, processi e condanne. Ma anche della sottovalutazione istituzionale e politica del fenomeno, che se continua, può agevolare addirittura la “grande capacità di proliferazione” della mafia. Per questa ragione, sostiene Esposito, va sempre sottolineato il coraggio di Ignazio Marino che “ha messo il dito nella piaga mafiosa. E il sistema gli si è rivoltato contro”. Ecco il punto politico di frizione tra le due anime del Pd: una vorrebbe togliere di mezzo Marino e riportare al centro quel sistema amministrativo messo sotto scacco dal sindaco, e l’altra vorrebbe invece proseguire nell’opera di Ignazio Marino di combattere quel sistema, fatto di collusioni, coperture, amicizie, legami pericolosi. E non solo. “Non raccontiamoci balle”, dice Esposito, “non possiamo permetterci di commissariare Roma” (questo è il punto). Perché? Perché “ci vuole senso dello Stato”, e dunque senso di responsabilità istituzionale, civile, sociale. Significa evitare fratture traumatiche, come potrebbero essere il commissariamento prefettizio e il ricorso alle urne in piena bagarre da Giubileo.
Parte del Pd insieme con la destra di Alemanno, Storace e Di Battista. Bel colpo
Abbastanza curiosamente, le tesi della deputata Bonaccorsi, presidente del Pd laziale, sono le stesse rilasciate in queste ore ai media da gente come Alemanno, Storace, Di Battista. È in buona compagnia, come si vede. Che Alemanno critichi Marino e voglia le sue dimissioni fa davvero ridere. Alemanno è nei guai giudiziari fino al collo, e dopo il suo quinquennio al Campidoglio di lottizzazioni selvagge, di nepotismi nelle aziende partecipate, di presenza di nuovi lanzichenecchi a Palazzo Senatorio, forse farebbe bene a starsene zitto. Che lo faccia Francesco Storace non spaventa e non stupisce. E neppure che le chieda a gran voce Alessandro Di Battista per il Movimento 5Stelle, che da questa situazione ha tutto da guadagnare sul piano elettorale. Nessuno di loro, però, entra nel merito delle scelte amministrative di Marino, osa criticarne l’operato con motivazioni argomentate. È tutta propaganda, null’altro che propaganda. Ma il “ragionamento complesso” della Bonaccorsi non è propaganda, è un messaggio politico al suo partito, al suo gruppo di riferimento, i renziani, ai leader delle liste civiche e a quei giornali che un giorno sì e l’altro pure chiedono la testa di Ignazio Marino. Chi vincerà nel Pd? Il seguito alla prossima puntata. Intanto, segnaliamo che i corvi volteggiano pericolosamente sul Campidoglio.