Da sud verso nord passando per Calais, per il il Brennero, dalle isole greche o da Lampedusa; le mete agognate e sognate sono la Germania, la Gran Bretagna, la Scandinavia. Da una sponda all’altra del Mediterraneo, dall’Africa sub-sahariana all’Europa continentale, forse mai come in questi mesi del 2015 il conflitto, il dualismo, la crisi fra nord e sud del mondo, è stato tanto evidente. Eppure se cambiamo latitudine e area del mondo, la stessa vicenda ha contorni diversi, o meglio si arricchisce e muta, mostra anche un’altra faccia. Nel sud-est asiatico si dipanano le vicissitudini dei Rohingya, minoranza di fede musulmana, perseguitata in Myanmar-Birmania, che cercano – è avvenuto in parallelo alla crisi mediterranea – di approdare in Thailandia, Indonesia, Malesia. E vengono respinti dalle autorità di quei Paesi. Anche in questo caso le organizzazioni umanitarie hanno denunciato i governi che negano l’approdo ai barconi stracarichi di profughi in cerca di nuova vita o più semplicemente di salvezza. Siamo dunque di fronte a un fenomeno generale, interpretabile con diverse chiavi di lettura, non facile da comprendere nel suo divenire; di certo però gli spostamenti umani generati da conflitti, persecuzioni, povertà, cambiamento climatico, dispute geopolitiche, diversità culturali, diventano dato costitutivo della storia del nostro tempo.
E su questo nodo centrale è intervenuto il papa nei giorni scorsi affermando un principio in netto contrasto con le politiche minimaliste o di decisa chiusura messe in campo da tanti governi per far fronte al problema: secondo Bergoglio respingere sulle proprie spiagge i migranti in fuga è una forma di guerra. “Pensiamo a quei fratelli nostri Rohingya – ha affermato Francesco dialogando con un gruppo di giovani – sono stati cacciati via da un Paese e da un altro e da un altro, e vanno per mare… Quando arrivano in un porto o su una spiaggia, danno loro un po’ d’acqua o un po’ da mangiare e li cacciano via sul mare. Questo è un conflitto non risolto, e questa è guerra, questo si chiama violenza, si chiama uccidere”.
A tale questione Bergoglio ha legato il tema del rispetto dell’identità di ciascuno quale condizione necessaria per una convivenza possibile, il rispetto – sostiene il papa – si costruisce con il dialogo e a partire da qui si possono superare le differenze, anche quelle relative all’identità religiosa (che generano spesso violenze oppressive). Se uccido l’altro, ha detto ancora Francesco, il conflitto in apparenza scompare, in realtà si tratta di un atto di guerra. In tal modo il messaggio che si manda a chi arriva è quello della violenza, della contrapposizione, del rifiuto. Le basi di un nuovo odio e di nuovi irriducibili conflitti sono a quel punto state poste. Il valore positivo del conflitto, al contrario, sta – nell’impostazione bergogliana – nella capacità di dare voce a diversità culturali e sociali che devono però essere ricomposte in un confronto-dialogo aperto.
Identità e conflitti, la politica faccia la sua parte
E allora in un Paese con tante identità diverse la sfida è di farle convivere tutte insieme. Francesco parlava dell’Indonesia, arcipelago di culture e etnie, e certamente parlava anche di noi. Ma soprattutto definendo ‘guerra’, o atto di guerra come hanno titolato diversi giornali, il respingimento dei migranti, ha capovolto, per l’ennesima volta dalla storica visita di Lampedusa in poi, l’assunto in base al quale il fenomeno migratorio sia legata solo a un’emergenza marittimo-assistenziale, a soluzioni essenzialmente di natura tecnica (da qui alcune corbellerie come l’idea di andare ad affondare i barconi direttamente in Libia, come se questo non costituisse un’intrusione illegittima nel territorio di un altro Paese).
Le cifre relative ai flussi migratori verso l’Europa della prima parte dell’anno, parlano di centinaia di migliaia di persone in fuga e quindi in arrivo; dal Medio Oriente all’Africa anni di guerre e dittature incancrenite stanno producendo una bomba umanitaria senza precedenti. Il recupero del pensiero umanistico alla politica, o se vogliamo del pensiero politico tout-court, capace di indicare prima l’orizzonte civile entro il quale muoversi e in base a quello di individuare sia le soluzioni per una accoglienza possibile – la cui complessità è comunque un problema destinato a crescere – che le modalità di un intervento internazionale, umanitario e diplomatico insieme (con relativo investimento di risorse), è quanto si richiede e quanto in effetti chiede il papa.
Una visione alternativa delle cose.
In tal senso Francesco propone una propria scala di valori che può essere variamente valutata ma indubbiamente disegna una visione del mondo alternativa agli schemi dati per scontati nell’ultimo quarto di secolo e ormai entrati clamorosamente in crisi non essendo più in grado di dare risposte credibili ed efficaci ai problemi del nostro tempo. Eppure è dentro questi schemi vissuti come una gabbia ineluttabile che sono rinchiuse gran parte delle classi dirigenti politiche che contano (non solo in occidente).
Di conseguenza il papa affronta il tema del rispetto delle identità e del dialogo in società sempre più diversificate al loro interno che in politica si traduce per esempio con l’estensione dei diritti umani e di cittadinanza; Bergoglio, poi, collega – sempre in questa medesima prospettiva – il tema del riscaldamento globale a quello della povertà (e quindi alla crisi del capitalismo), parla di società plurali contrapposte a una globalizzazione uniformante finanziaria o ideologica, mette al centro del discorso pubblico “gli scartati” e le “periferie” e, su un piano propriamente ecclesiale, promuove la Chiesa del terzo millennio secondo il paradigma della misericordia e dell’accoglienza in aperta contrapposizione con un modello dogmatico-repressivo utile soprattutto a mantenere le gerarchie nei piani alti del potere. Di questo e di altro parla Francesco, e non sempre la cultura laica deve condividere il suo pensiero né può farlo, di certo però – oltre ad essere un leader e un interlocutore d’eccezione in questi tempi poveri di grandi visioni – il papa sembra anche indicare alla politica una strada maestra per rialzare la testa e riprendersi lo spazio che gli spetta.