Guai a considerarlo un episodio di costume più o meno eccentrico, sgargiante, a furor di popolo. Oppure espressione un po’ folklorica dell’addio ai cari estinti tipica della tradizione rom. Oppure un funebre zingarata, come quelle (altri tempi?) del benefattore De Pedis, del rimpatriato Lucky Luciano, del boss colombiano che venne omaggiato, benedetto, sepolto (altri tempi?) dentro una bara d’oro.
Se di sindrome si vuol narrare (prendendo atto che requisitorie e memorie difensive, sul maxi funerale di Vittorio Casamonica, stimola da ieri l’altro la ‘meglio pubblicistica’ italiana) preferirei affidarmi alla ‘miseria e nobiltà’ di quell ‘ultimo carro’ trainato da bigi cavalli importati da Napoli (carrozza e modanature d’oro comprese) : simbolo estremo e terribile che pullula per simbolica effige tante (e differentissime) antropologie culturali: da quella nordica di Bergman a quella surreale di Clair e Bunuel, dallo strazio per il piccolo mortaccino de “L’oro di Napoli” di De Sica al redde rationem bombarolo, cinese e catartico dell’”Anno del dragone” di Cimino. Ma allora Toto? Diana d’Inghilterra? Grace di Monaco? Il contesto, attenzione, il contesto (pur se di lusso e cerimoniale si trattava anche in quei ‘nobili’ casi) è del tutto diverso, imparagonabile, non agibile . “Un Casamonica non ha mai rotto le scatole a nessuno”- reagiva un parente stretto e minaccioso. Al massimo- ammiccava un amico romano- “gli avrà magnato er core…da vivo”. Ma dipendeva dal malcapitato in usura: se saldava o no.
Tipico ‘epifenomeno’ di intimidazione reverenziale ‘erga omnes’, il funerale faraonico (o arditamente papalino?stante ai manifesti celestiali della buonanima che vola in cielo sollevandosi fra San Pietro e Colosseo) nulla aggiunge, pur tuttavia rafforza, lo strapotere, la soverchieria espansa di chi sa che “in tanti devono a noi qualcosa” Rosy Bindi, la migliore, accusa “l’ostentazione di un mafioso e inossidabile ” Anche, ma correggerei il tiro: sottomissione della ‘cosa pubblica’ al piacimento di chi se n’è reso braccio coercitivo, violento- ed a cui volentieri si affidano i più luridi disbrighi, intrighi, mediazioni ‘persuasive’.
“Sciacquatevi (cosa…?) con la varichina prima di parlare della cultura dei Casamonica (basica? nazional.laziale?)”- urla una donna del clan alle telecamere. E poi (lapsus freudiano anche a chi se ne sbatte dell’inconscio) “E’ cascata la torta… sulla ciliegina…” Laddove la torta sarebbe il (presunto, costituzionale) convivere civile e la ciliegina il frutto avvelenato di tutte le scorciatoie (i retropalchi) della mafio-economia ormai sentina del ‘globalismo’.
E alla faccia del messaggio subliminale con cui ieri alcuni stregoni della ‘comunicazione per immagini’ si arrampicavano sugli specchi smerigliati dei fasti familistici della schiatta abruzzese. Mai ‘mezzo’ e ‘messaggio’ furono così perentori, intellegibili nel brutto ingorgo (“che colse di sorpresa le civiche autorità laiche ed ecclesiali”… guarda tu che tempismo) affastellante cassamortari, blocchi stradali, ingorghi come da film di Comencini (coinvolto anch’io, che andavo a Frascati), vigili urbani imprecanti (cosa?) nel deviare il traffico per ignoti vicoli di Roma-sud.
Su tutti librava una sorta di elicottero presidenziale spargente petali di rose: per pudore che non fossero biglietti da cento lire come ai tempi di Lauro, dai camioncini di via Posillipo. Cinecittà a mezzo km in linea d’aria: Nosferatu, Pinocchio, le visioni di Poe, tutte memorie lugubremente impreziosite di carrozze nere, a molti equini e modanature d’oro. Qui trainanti fastosità trash, timore reverenziale, mancanza di alternative (coraggio, dignità), se è vero che la folla degli addolorati s’è ingrossata e infoltita nei sei km di processione dal quartiere Romanina a quello di Don Bosco alla Tuscolana.
Mafia Capitale? Solo un foruncolo, un’escrescenza, piccola ernia da apparato digerente: l’ organismo, il cuore pulsante e criminogeno è intatto. Chi se ne avvale partecipa sentitamente.