Il tempo presente non sembra propizio per chi voglia coltivare lo spirito critico e tentare di rimettere al centro il merito di ciascuna questione. Non parliamo poi dello stato della discussione sulla Rai e sulle nomine passate e future. A ciascuno di noi è sembra essere concesso solo di gridare abbasso o evviva, di dare la pagella ai nominati, di usare il tutto pro o contro Renzi, secondo uno schema alimentato da Lui medesimo e da non pochi dei suoi avversari.
Per quanto ci riguarda, come Articolo21, per quel poco che contiamo, non ci siamo fatti e non ci faremo trascinare dentro una palude che impedisce di vedere i termini reali dello scontro in atto e di quello che potrebbe accadere.
Del resto questa é stata anche la lezione che ci ha lasciato Federico Orlando, il nostro indimenticato presidente,un liberale di razza,morto un anno fa e qui ricordato con affetto ed arguzia dal figlio Edoardo.
Proprio perché non partecipiamo ai cori pro o contro Renzi, non possiamo non riaffermare che questa partita é stata vinta da coloro che volevano conservare la Gasparri, difendere gli equilibri di mercato imposti da quella legge, conservare il potere di nomina nelle mani dei governi e dei partiti.
Quando Gasparri e i suoi cantano vittoria hanno perfettamente ragione. Dal momento che abbiamo sempre contrastato quella legge e la mancata soluzione del conflitto di interessi, non abbiamo motivo alcuno per cambiare opinione oggi. La nostra posizione resta quella sintetizzata nel documento preparato da Roberto Zaccaria e da Vincenzo Vita, per altro un tempo condivisa dall’intero centrosinistra, senza distinzione alcuna.
Per comprendere il senso e la direzione dell’accordo raggiunto si dovrà guardare più all’esterno che all’interno di viale Mazzini. Se l’annunciata legge sul conflitto di interessi non sarà portata in aula tutto sarà più comprensibile. Allo stesso modo se il dibattito sulla riforma della Rai non dovesse sfiorare il sistema integrato delle comunicazioni,il cuore della legge Gasparri, i sospetti potrebbero tramutarsi in certezze.
Naturalmente speriamo di sbagliare e ci auguriamo, in modo non retorico, che il governo voglia ritirare quella sorta di Gasparri bis approvata al Senato e ripartire dalle proposte originarie e dai progetti di legge presentati a suo tempo, per restare nell’ambito del solo Pd, da Veltroni e da Gentiloni, ma anche dai gruppi di lavoro che hanno collaborato con il sottosegretario Giacomelli.
Nel frattempo restano aperte questioni essenziali per il futuro della Rai, ben riassunte da Barbara Scaramucci nel suo articolo.
Quale mandato è stato affidato al nuovo gruppo dirigente?
Dovranno potenziare o ridurre il ruolo del servizio pubblico e con quali risorse?
Quali assicurazioni saranno fornite sul canone e sulle modalità della raccolta pubblicitaria?
La progettata riforma editoriale potrà essere discussa o sarà approvata senza modifiche?
Si terrá conto delle osservazioni presentate da associazioni e sindacati ed oggetto
persino di un referendum indetto dall’Usigrai?
Il servizio pubblico dovrà illuminare le periferie del mondo, dare spazio a diversità e differenze, alimentare lo spirito critico o sarà più simile ad una agenzia governativa, come per altro é già accaduto tante volte nella sua storia?
Ed ancora, vorrà il governo liberare la Rai da antiquati vincoli e consentirle di liberare energie, risorse e talenti nella direzione della innovazione e della conquista di nuovi linguaggi e nuovi mercati?
Se potessimo dare un solo consiglio ai nuovi eletti chiederemmo loro di buttare nei cestini i totonomine di queste ore e di istituire, come loro primo atto, una squadra di “Cacciatori di teste” composta dai migliori ingegni della storia aziendale, passati e presenti, capace di scovare nuovi format e nuovi talenti, ovunque si trovino, e non solo in Italia.
Se invece dovessero tornare in azione i “Tagliatori di teste”, di qualsiasi natura e colore,il ritorno al passato sarà completato ed i conservatori, a prescindere dall’anno di nascita, potranno giustamente festeggiare il trionfo.
Per quanto ci riguarda, come sempre, giudicheremo sulla base degli atti, delle scelte, delle delibere, a prescindere dai vincoli di amicizia e di conoscenza che pure ci legano ad alcuni dei prescelti, anche perché dal futuro della Rai dipendono non solo le sorti di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, ma anche di tanta parte della industria culturale e dell’audiovisivo nazionale.
Per non parlare del ruolo e della funzione che, nel bene e nel male, questa Rai ha sempre avuto nel favorire o bloccare i processi di coesione sociale, unità nazionale, integrazione ed accoglienza.
Questioni un po’ più delicate del totonomine di giornata.
Chi ha davvero voglia di assicurare un futuro alla Rai, non a questo o a quel gruppo dirigente, non si faccia tentare né dallo sdegnoso rifiuto, né dalla cortigianeria, ma concorra a ridefinire un progetto riformista, a partire proprio dalla legge Gasparri, da contrapporre a chi vorrebbe conservare gli equilibri di un ventennio.
Per quanto ci riguarda daremo una mano a chiunque avrà davvero voglia, sul piano politico e sindacale, di anteporre l’interesse generale ad ogni conflitto di interesse.