Non ho titolo alcuno per assumere il ruolo di avvocato difensore di Francesco, ma trovo davvero superficiali e sciatti, per usare un eufemismo, i toni e i modi utilizzati ,dai capi di alcune formazioni politiche italiane, per polemizzare con il Papa. Manco a dirlo a far saltare i nervi sono sempre gli appelli alla tolleranza, alla accoglienza, al dialogo, alla inclusione sociale…
“Chi respinge i migranti compie un atto di guerra”, queste le parole di Francesco, per altro già risuonate, durante i viaggi a Lampedusa, Assisi, al centro Astalli di Roma, per fare solo qualche esempio. “Se li prenda in Vaticano…” ha urlato uno degli industriali della paura in servizio permanente, alla caccia di qualche voto in più. Il diritto al dissenso, ovviamente, non è in discussione, ma almeno bisognerebbe informarsi prima e sapere dove, come e perché, il Papa ha pronunciato queste parole, per altro sacrosante. Francesco aveva di fronte i giovani del movimento eucaristico e si riferiva ai Rohingya, popolazione musulmana, in fuga dal Myanmar, nell’Oceano indiano.
Le sue parole avevano ed hanno un significato particolare, perché la sua indignazione ed il suo appello si riferivano a donne e uomini lontani e di un’altra religione, ma non per questo cittadini da dimenticare o esseri umani da ridurre a merce o a numeri buoni solo per le statistiche dei morti affogati.
Il suo appello alla accoglienza, il rifiuto delle guerre, del terrore, della violenza non si limita alla persecuzione dei cristiani, ma si estende alla generalità delle ” Sorelle e dei fratelli”, senza distinzione di razza, colore, appartenenza politica. Le sue parole dovrebbero unire chiunque, credenti o non credenti che siano, condividano questi valori, per altro racchiusi in tutti i trattati internazionali e nelle Costituzioni dei principali paesi.
Chi lo attacca, magari con tanto di croce appesa al collo ed esibita ai comizi, ritiene possibile sparare sui barconi, espellere i rifugiati, dichiarare guerra non all’Isis, ma a quanti sono costretti a scappare dai tagliagole e dai signori del terrore. magari armati dalle nostre industrie e dai nostri mercanti di morte.
Per altro se gli industriali della paura avessero mai avuto la voglia e la capacità di leggere l’ultima enciclica “Laudato si”, avrebbero scoperto che Francesco, oltre a invocare la fratellanza e l’accoglienza, indica anche un lucido percorso politico per risolvere alla radice il dramma dell’esodo, della emigrazione forzata, della disperazione di chi è costretto a lasciare la sua terra.
Questo percorso , passa per la ricostruzione dell’ONU, per la riduzione degli squilibri economici e sociali, per il risanamento ambientale, per la modifica dei sistemi di produzione, per una diversa distribuzione delle ricchezze, per la capacità dell’Occidente di porre fine ai conflitti innescati : dall’Iraq alla Siria, dalla Palestina alla Libia…
Chi non condivide questo percorso non può limitarsi alle battute o alle insolenze, ma ha il dovere di indicare un progetto che abbia la stessa profondità e lo stesso coraggio di andare oltre la ricerca del facile consenso, fondato sulla eccitazione dei peggiori istinti che attraversano ciascuno di noi.
I veri leader, religiosi o civili che siano, hanno il dovere di pensare anche a chi non è ancora nato e al mondo che lasceranno a chi verrà dopo. Se questo mondo sarà segnato da guerra, terrore, fame, miseria, distruzione delle risorse, non avrà lunga vita e comunque sarà una vita ancora più insidiata da mostri e mostruosità. Per fortuna, dentro e soprattutto fuori dal nostro cortile, sono milioni e milioni le persone che vogliono costruire il loro futuro e non hanno alcuna intenzione di farsi arruolare nelle fila dei costruttori di muri e dei distruttori di ponti.
Dal momento che padre Enzo Fortunato, in modo originale e stimolante, chiede a tutti noi se abbia ancora un senso la parola “Fratelli” (e noi ci permettiamo di aggiungere Sorelle), non possiamo che rispondere Si, perché, nonostante tutto, ci provano da qualche secolo, ma non sono mai riusciti a cancellarla. Neppure dentro i gulag ed i lager.