Lotta di classe in Cina, paura in occidente

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L’incubo Cina affossa le borse. Cade Wall Street, Repubblica. “Crisi e petrolio mandano in crisi le borse mondiali”, Stampa. “La frenata cinese spaventa i mercati”, Corriere. Il catalogo è questo “Guarda un po’ come siamo ridotti – sbottava ieri, in un moto di sincera autocritica, Antonio Polito – tutti qui a sperare che il Partito Comunista Cinese ce la faccia e salvi il capitalismo mondiale”. Sì, Antonio, questa grottesca speranza è il niente che resta della Terza Via. A questo si riducono quei socialdemocratici che, con Fukuyama, pensavano che lo storia fosse finita, che il capitalismo globale fosse in grado di regolarsi e di regolare la lotta di classe su scala mondiale.

La lotta di classe torna in Cina. Contro gli uomini dell’apparato, ricchissimi e corrotti. Contro i padroni della fabbrica di Tianjin, contro le città dormitorio con gli operai schiavi, contro l’aria che avvelena i figli della classe media. Il potere politico ha cercato di corregere il sistema: qualche esecuzione esemplare di corrotti, qualche controllo, investimenti ecologici e strategia dell’ascolto, non del dissenso politico che non deve esistere, ma di chi denuncia la pessima qualità della vita. Così facendo il regime si è avvitato in una crisi che stenta a guidare. Milioni di investitori hanno scelta la borsa, alla ricerca di rapidi moltiplicatori della loro ricchezza. Ne è nata una bolla speculativa che non si riusciva a sgonfiare. Poi il tentativo di tagliare gli artigli al capitalismo di rapina e consolidare la moneta, svalutando e controllando la svalutazione. Ma la svalutazione dello yuan renminbi (della moneta del popolo) sta svalutando le monete dei Brics e le economie dei paesi emergenti. E se il dollaro rivaluta (in un contesto non più di espansione) l’Occidente tornerà in deflazione. Che accade? Alla fine ha ragione il Sole: i cinesi stanno provando a passare da una crescita a due cifre a una del 7 o del 5% l’anno ma meno squilibrata. Ha ragione Deaglio: è la prima volta che una crisi della periferia colpisce in faccia il centro (che non è più tale) del sistema capitalista e dei mercati.

Tsipras si vuol liberare dei rompiballe come te. Ho ricevuto ieri un paio di carezze siffatte. Vero! Alexis ha scelto: in Europa senza un piano B (uscita temporanea dall’Euro) e senza Varoufakis (uno dei suoi ministri più stimati). Egli però di nuovo, dopo il referendum del 5 giugno, sottopone la sua leadership al giudizio del popolo. Non cerca inciuci con Pasok e Nuova Democrazia. Vuole una maggioranza che gli consenta di andare a Bruxelles a testa alta. Quant’è diverso, cari amici critici, questo leader greco da quello che ci troviamo in Italia. Il quale ricatta, straparla di maggioranze che non ha, si nasconde sotto le gonne della Merkel, inciucia ora con Berlusconi ora con Verdini. sposta a destra il Pd senza averne il mandato (alle primarie non dichiarò le sue intenzioni). Davvero mandarlo in minoranza in Parlamento – spero sulla riforma costituzionale – mi pare una una necessità. Vera emergenza democratica.

Train de vie. Titola il manifesto. Al confine tra Grecia e Macedonia i migranti siriani gridavano. “fate passare almeno i bambini”. La polizia faceva muro, dieci feriti, tanti disperati. E poi c’è la frontiera di Calais, ci sono gli 800mila che chiedono asilo in Germania. E noi, che infiliamo la testa sotto la sabbia. Diamo 30 euro per giorno e per immigrato alle cooperative di mafia capitale. Induriamo la mascella, razzisti da operetta, per ramazzare qualche voto. Guardiamo attoniti l’esibizione del potere del clan Casamonica. Senza ricostruire società e stato, non avremo un futuro. La politica politicante, più che un errore, mi sembra ormai un crimine.

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