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“Le mie dimissioni causate solo dal tormento”. Lettera aperta dell’ex assessore Motisi

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta fattaci pervenire dal Giuseppe Gaspare Motisi. Di seguito il testo:

Tengo a precisare, innanzitutto, che le mie dimissioni irrevocabili nascono principalmente dal tormento che ho vissuto in questi giorni. La mia famiglia non meritava di essere protagonista, mio malgrado, di quanto avvenuto. Spiegare ai miei figli il motivo per cui, il mio nome compariva accanto a quello di mio zio, non è stato semplice. Ancor più lacerante, vedere lo smarrimento nei loro occhi, nel riferirmi come i loro amichetti chiedessero il motivo per il quale la mia foto campeggiava sulle pagine dei giornali. La mia “colpa” – perché questo mi si è detto – è avere uno zio detenuto all’ergastolo. Non è importato a nessuno, sapere che quando mio zio venne arrestato per la prima volta nel 1985, io avessi solo diciotto anni, e stavo per ultimare il mio percorso scolastico. Di solito, gli esami per il diploma si ricordano per la spensieratezza della giovine età. Io ricordo, quei momenti, con grande sofferenza e sgomento.

Sono un tecnico, non sono un politico attaccato ad una poltrona. Non avevo alcuna necessità di garantirmi una posizione con la “conquista” di un assessorato. Pensavo che le mie capacità tecniche potessero essere sfruttate per il bene della Comunità a cui appartengo. Non ho motivi di astio nei confronti di chi ha ritenuto che non fosse opportuno affidare l’incarico “al nipote di un boss mafioso”. Arrivo financo a comprenderne il senso. Ciò che mi permetto di discutere, però, è la “cultura del sospetto” che ha alimentato gli interventi di stampa in questi giorni. Resto convinto sulla buona fede di coloro che hanno scritto rappresentando i propri convincimenti in ordine al fatto che non potessi essere un buon Assessore, solo perché parente di. Di certo, però, in questo modo, inevitabilmente, mi si è impedito di poter dimostrare con i fatti, la mia lontananza a certe logiche, appartenenze ed implicazioni. Mi si è giudicato, senza mettermi alla prova. Ne esco dispiaciuto, poiché ritengo di essere parte di quella Società civile che deve essere valutata per le azioni che compie, piuttosto che per i legami parentali che ha.

Gaspare Giuseppe Motisi
Castellammare del Golfo,  17 agosto 2015 

Non aggiungiamo nulla a quanto da noi già scritto, vogliamo però affermare ad alta voce che non abbiamo coltivato nè commesso nulla a proposito di “cultura del sospetto”. Abbiamo posto al sindaco e solo al sindaco di Castellammare del Golfo una questione di “opportunità”, di natura etica e morale. Punto nulla di più. Il nostro pensiero sul dott. Giuseppe Gaspare Motisi lo abbiamo scritto a chiare lettere. Mai abbiamo fatto riferimento a carrierismo politico. Abbiamo anzi detto che eravamo dinanzi ad una persona professionalmente capace e onesta. Ci resta lo stupore, e un pizzico di curiosità, rispetto al fatto che in meno di 24 ore il tormento ha annientato la posizione intransigente che si era appena dichiarata e sottoscritta. Infine vogliamo sperare che lo sgomento che il dott. Motisi racconta di aver vissuto in quel 1985, quando lo zio fu arrestato per la strage di Pizzolungo, fosse rivolto alle vittime delle gravissime azioni mafiose del boss Gioacchino Calabrò che, successivamente, nel 1995 fu tra i protagonisti della stagione stragista del 1993 e che negli anni recenti ha visto anche la moglie e il figlio arrestati per indagini antimafia che misero in luce il controllo mafioso della città di Castellammare del Golfo.


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