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L’attacco delle mafie alla libertà d’informazione è costante

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di Fabrizio Feo

L’attacco delle mafie alla libertà d’informazione è costante: gli elementi raccolti dalla Commissione Parlamentare Antimafia nella Relazione sui giornalisti minacciati dalle organizzazioni criminali – approvata all’unanimità – lo dimostra senza possibilità di smentita.

Gli atti di ostilità nei confronti dei giornalisti, dal 2006 al 31 ottobre 2014,sono in costante aumento, e toccano quota 2.060. 421 atti di violenza o di intimidazione solo nei primi 10 mesi del 2014. 20 i giornalisti sotto scorta. Intimidazioni quasi del tutto impunite.

Le regioni del Sud sono quelle in cui è più difficile fare informazione libera, a rischio anche in altre aree, soprattutto in Lombardia, Emilia e Lazio. E non ci sono solo intimidazioni tradizionali ed atti violenti, ma anche strumenti di pressione per bloccare inchieste “scomode”: si tratta di querele temerarie, minacce di ritorsioni legali, richieste di risarcimento, azioni giudiziarie in sede civile.

Un attacco che proviene non solo dalle mafie: ci sono politici che usano metodi mafiosi per zittire i giornalisti che si occupano di loro o dei loro affari inconfessabili. Un tema che vale la pena di approfondire. Spesso quei politici usano sistemi subdoli, trasversali che puntano ad ottenere il risultato senza clamore.

E poi capita spesso di imbattersi in editori che mantengono i giornalisti in uno stato di “precarietà contrattuale ed economica”; ma ci sono anche editori collusi che pretendono “il silenzio delle loro redazioni su fatti o nomi innominabili”. Ed ancora: emerge un giornalismo fatto di valori e impegno che deve difendersi però da un altro giornalismo, quello di chi volta la testa, di chi è contiguo, finge di non vedere e non sentire, coltiva legami impropri. Le cosiddette “sacche di informazione reticente”. Bisogna dire che spesso c’è chi viene bersagliato da “avvertimenti” diretti e pesanti, querele e minacce di azioni legali, e decide di mollare. Ma c’è anche chi in silenzio va avanti. Casi, questi, che non rientrano nelle statistiche.

La Relazione – lavoro di indagine coordinato dal vicepresidente della Commissione Claudio Fava – è senza dubbio un atto nuovo e importante. Un atto che dovrebbe essere anche il punto di partenza per una presa di coscienza dell’intera categoria degli operatori dell’informazione, che devono per primi essere capaci di distinguere chi è veramente in prima linea da chi ha precisi e più o meno nascosti interessi, a cominciare dalla ricerca della notorietà.

> Il testo integrale della relazione della Commissione  Parlamentare Antimafia

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