Con agosto, per politica e istituzioni, è arrivato tempo di vacanze e di bilanci pre-pausa-estiva. E di proclami e di propositi per la ripresa che, a settembre, in gran parte rimarranno disattesi. Tra questi un tema, su cui si sta già ampiamente discutendo (ma non affrontando adeguatamente), si ‘propone’ per la sua gravità come uno dei primi punti dell’agenda Renzi: l’immigrazione e l’emergenza sbarchi. Intanto, però, nel Mediterraneo si continua a morire nonostante, almeno su carta, nel periodo estivo, in cui normalmente si assiste al picco del flusso di barconi e altri natanti carichi di profughi, la missione Ue “Triton” avesse a disposizione tre aerei, sei navi d’altura, dodici pattugliatori e due elicotteri.
Peccato che nelle ultime settimane, dopo i salvataggi messi in atto dalle navi degli Stati membri che avevano dato vita a una sorta di Mare Nostrum europea in grado di scongiurare morti per naufragio, i tempi d’impiego di tali mezzi sia stato ridimensionato. Dai primi di luglio, dopo aver prestato soccorso a oltre tremila naufraghi, la Marina britannica ha sostituito la nave da guerra che aveva messo a disposizione all’inizio, e che poteva accogliere fino a 800 persone, con un’imbarcazione oceanografica Enterprise, che può caricarne al massimo 120. Stesso discorso per i tedeschi, che hanno richiamato le due unità assicurate in un primo momento, senza per altro sostituirle. Le conseguenze non si sono fatte attendere a lungo: il naufragio di pochi giorni fa al largo delle coste libiche conta già centinaia tra vittime e dispersi. Su oltre 700 naufraghi ne sono stati salvati poco più della metà. E andrà sempre peggio.
Il perché di tale pessimistica aspettativa è suggerito da una semplice constatazione. Quanti di voi sanno che a Lampedusa e in altre località sul Canale di Sicilia gli sbarchi non si sono mai fermati e che in molti casi si è sfiorata la tragedia è gli episodi non sono diventati di dominio pubblico ‘solo’ perché di morti i soccorritori ne hanno contati al massimo tre o quattro? Pochi, pochissimi!
Nonostante l’attività di monitoraggio delle navi della Marina Italiana, le uniche che non hanno mai interrotto le operazioni di soccorso al largo di Lampedusa, prosegua con impegno costante e quotidianamente registri interventi di varia entità la questione non è il primo punto all’ordine del giorno dell’agenda del Governo da molto tempo.
Eppure ogni volta è una corsa contro il tempo: un elicottero che avvista un gommone sovraccarico di persone, uomini, donne e bambini in balia delle onde e senza alcuna dotazione di sicurezza.
La settimana scorsa il ‘carico’ più consistente. Variegata la nazionalità dei naufraghi recuperati, per lo più provenienti da Sudan, Mali, Eritrea, Siria e tanti altri paesi in cui infuriano conflitti o sono segnati da carestie e fame.
Ai trecentocinquanta salvati la scorsa settimana è andata bene. Meno ad altri disperati che, hanno raccontato i sopravvissuti di quest’ultimo e di altri naufragi, erano stipati nella stiva e sono affondati insieme all’imbarcazione malandata che si è capovolta per il carico eccessivo.
L’hanno vista inabissarsi, inghiottita dai flutti di un mare impietoso che, invece, ha risparmiato loro.
Noi non abbiamo visto quei disperati morire come topi sorpresi dall’acqua. Condannati senza possibilità di scampo.
Ma siamo tutti consapevoli di una realtà inconfutabile: quelle che dovrebbero essere ‘navi della speranza’, piccole barche di metallo e legno con a bordo molte più persone di quanto possa contenere, la maggior parte delle volte si trasformano in trappole mortali.
Spesso di queste tragedie della disperazione raccontate dai superstiti non si hanno riscontri fino a quando non riemergono i corpi. E dunque, come nel caso degli affondamenti che registrano ‘solo’ tre o quattro morti ‘accertati’, non fanno notizia.
E’ però lampante, anche quando il mare non si ‘punteggia’ di cadaveri, che gli sbarchi dei clandestini continuino nell’indifferenza di tutti.
Continua il dramma di una immigrazione senza controllo che mette a rischio coloro che fuggono dai luoghi di origine dove magari è in corso una guerra, una carestia o viene perpetrata costantemente la violazione dei diritti umani.
Eppure una soluzione ‘umana’ al problema non è una priorità dell’Europa.
Non è nemmeno la prima questione che arrovelli la mente di chi ci governa. È e resta ‘semplicemente’ il dramma dei disperati che tentano invano di sbarcare sulle nostre spiagge in cerca di salvezza e di un tozzo di pane. Un ‘dramma’ che, invece, dovrebbe toccare ognuno di noi che, incapace di spezzare quel pane con chi è affamato, si affanna a cercare magiche soluzioni che tengano lontani gli ‘indesiderati’ o, peggio ancora, vorrebbe chiudere le frontiere per difendere il proprio posto di lavoro, il proprio spazio vitale, la propria casa, chiudendo gli occhi per non vedere, per non sapere che mentre in occidente ci godiamo sole e vacanze, altrove c’è chi muore di fame, guerra e catastrofi naturali.