Chiamo Sergio Staino di sabato mattina presto. Ci lega una lunga amicizia, fatta di discorsi e conflitti, di punti di vista mai banali, di analisi condivise e talvolta distanti. Con Sergio è sempre così, mai nulla è scontato e come appare. Ti sorprende sempre, non solo per l’analisi ma anche per le scelte. Sergio è un grande intellettuale italiano, non è solo Bobo e le vignette, è anche narrazione, storie riversate nei suoi libri, sensibilità politica e umana. E una buona dose di generosità. Gli ho chiesto un’intervista sulla sinistra possibile e su come lui interpreta certi processi, nazionali e internazionali. Durante lo scambio telefonico, mi ha letto qualche messaggino che gli perveniva sul telefono cellulare. Questa intervista può servire a capire certe posizioni di Sergio sulla politica italiana e in particolare sul Pd. Si può anche non essere d’accordo con lui, ma non si può dire che Sergio compia le sue scelte in maniera non meditata o interessata.
“Vorrei cominciare raccontandoti un aneddoto. Ho partecipato alla chiusura della campagna elettorale per le elezioni regionali, organizzata dal Partito democratico toscano al teatro Puccini di Firenze, con Matteo Renzi e ovviamente con Enrico Rossi. C’era davvero molto popolo nostro, quel popolo di ex comunisti e di ex democristiani che costituisce la miscela di partenza di questo partito. Sai cosa mi ha colpito? La reazione di questo popolo quando ha parlato Enrico Rossi. Ha ottenuto più applausi dello stesso Renzi, e sai perché? Perché ha posto le due questioni centrali del governo del cambiamento: la centralità del lavoro e l’importanza per la civiltà toscana di non abbandonare gli ultimi, da un lato, e dall’altro, il legame profondo con le forze del sindacato, con il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici. Il lavoro e i lavoratori poti al centro del governo regionale, hanno suscitato l’ovazione per Rossi. Lo dico perché questo è un segnale positivo per il Partito democratico, che non è solo la sua elite, ma è il suo popolo, che sta con Rossi, e il sindacato”.
Ecco Sergio Staino, il lavoro, tutelato dalla Costituzione, centrale nel programma di Rossi, però è messo a durissima prova dalla egemonia del neoliberismo. Il neoliberismo costruisce migliaia di miliardi di dollari di profitti riducendo il lavoro.
“Sono d’accordo con te. Il lavoro è non solo sussistenza, ma anche crescita civile, con cui si conquista quella maturità che porta il movimento a governare la società. Quando si attacca il sindacato e quando si mette in secondo piano il lavoro, si fa una precisa scelta di campo, che nessuno di noi ovviamente può condividere, perché privilegia il capitale finanziario, il nemico numero uno del lavoro, considerato solo come una spesa, una fastidiosa nota sul bilancio. Da qui deve ripartire l’analisi della sinistra. La sinistra deve riflettere sul dominio del capitalismo finanziario, che produce guerre e giochi terrificanti in tutto il pianeta, trasformando qualunque cosa in merce. C’è un pezzo di sinistra che ragiona su questi processi globali, ma ha scarsa attenzione, soprattutto da parte della cosiddetta Sinistra dem, molto più attratta dall’inseguimento a Renzi. Invece di aprire una grande battaglia fondamentale sul futuro della nostra società”.
La bacchettata a Cuperlo & compagni è forte, Sergio, e forse un tantino ingenerosa.
“Perché inseguire la riforma costituzionale? Perché lavorare su questo o quell’emendamento minimalista su questa o quella legge? Si perde solo tempo prezioso”.
Tuttavia, Sergio, devi ammettere che molte delle leggi varate da Renzi e dal suo governo hanno scavalcato le prerogative della democrazia parlamentare coi tanti voti di fiducia e hanno un chiaro segno liberista. Penso al Jobs act, alla cancellazione dell’art.18 e al conflitto continuo con la Cgil. Non pensi che gli atti di Renzi vadano ripensati alla luce di queste valutazioni? Mentre pongo questa domanda, gli arriva un sms diun compagno. Me lo legge: “caro Sergio sei diventato renziano. Sono certo che non l’hai fatto per soldi, ma per convinzione. Ma proprio questo mi fa incazzare”. Sergio Staino lo commenta così e chiarisce.
“Non sono mai stato renziano, e non lo sono diventato ora. Anzi, dirò di più. Renzi è un frutto marcio, malato, ma è nostro. E qualcuno deve farsene carico se è spuntato. Questo è il mio punto di vista critico, contro Bersani, D’Alema e Veltroni. Loro ne portano la responsabilità più grave. E invece di fare altro, complottano per farlo cadere. In realtà, questo partito, che è l’unico vero grande partito che abbiamo qui ed ora in Italia, andrebbe riformato, ma se l’alternativa è Bersani, beh, mi schiero con Renzi. Ad esempio, occorre che tanti giovani vengano fatti entrare, che si mettano a lavorare, che vengano spinti a tracciare nuove elaborazioni teoriche e una prospettiva credibile. Se non lo fanno nel Pd, dove potranno farlo? Per questo ti dico, non sono renziano, ma credo nel Partito democratico come risorsa. E ogni battaglia va fatta al suo interno. Anzi, ti dirò di più, non possiamo permetterci il lusso di lasciarlo a coloro che hanno la potenzialità di distruggerlo, i renziani acritici. Ha ragione Emanuele Macaluso, ogni tentativo di costruire una forza alternativa a sinistra del Pd corre il rischio di essere velleitario, di durare uno, due anni. E poi? Ho disegnato una vignetta su questa scissione: Fassina, Civati, Landini sono a convegno per decidere se fare uno, due o tre partiti. È questa la prospettiva?”.
Però Sergio, come ti spieghi certe derive del Pd, al centro come in periferia, coinvolto in tanti scandali di corruzione piccoli e grandi?
“La caduta etica e il cinismo di certe classi dirigenti del Pd precede l’ascesa di Renzi, sono stati determinati dal fatto che fin dalla sua costituzione, il vecchio gruppo dirigente dei Ds si è fatto mangiare dalle pratiche della Margherita, dal suo sistema di tesseramento, dall’annichilimento delle sezioni. Renzi non è un marziano caduto in un Pd perfetto. È il figlio di quelle condizioni di partenza. Ora però occorre che a partire da due persone di buon senso come i ministri Martina e Orlando, si dia vita a quella rete di popolo democratico che ancora ci crede, e rappresenta la parte sana. Come coloro che applaudivano Enrico Rossi al Puccini di Firenze. E proprio Enrico Rossi può rappresentare, secondo me, un’alternativa seria a Renzi”.
Torniamo alle grandi questioni di analisi e di principio della Sinistra. Su certe questioni planetarie sembra che siano altri i teorici del cambiamento.
“Il tema della sopravvivenza del pianeta, ad esempio, è stato più volte presentato, raccontato, illustrato da Carlo Petrini. Papa Francesco ne ha fatto oggetto di una splendida enciclica. Obama si è impegnato a realizzare concretamente quanto è in suo potere. La questione della ecosostenibilità mette in discussione la sopravvivenza delle multinazionali, quelle che dominano nell’agricoltura e nella industria delle armi. Però manca una sovrastruttura politica che ne raccolga le provocazioni. Quale sinistra ha mai posto come centrale nel suo programma la difesa del suolo e l’agricoltura? Se continuano così, distruggeranno il futuro delle prossime generazioni. Manca oggi la funzione pedagogica della politica, che una volta era della sinistra. Se invece la sinistra dem si concentra in battaglie di piccolo cabotaggio rende inutile la sua esistenza. È come se Gramsci si fosse perso nei mille casini del suo quartiere, invece di scrivere di analisi del mondo”.
E infine, Sergio, la crisi della sinistra italiana non è simile alla crisi del socialismo europeo? E che pensi di Tsipras?
“La vittoria dei populismi in Europa è stata la tragedia dei socialisti. Quella vittoria è la risposta violenta alle paure generate dalla crisi profonda e dall’immigrazione. Occorre invece da subito collegarsi ai dibattiti internazionali sul destino del socialismo europeo. Sulla Grecia. Voglio molto bene a Tsipras e lo stimo moltissimo. Ha dimostrato una maturità impensabile per come si è mosso e per le scelte che ha compito. Se avesse seguito l’estremismo di sinistra, forse non avrebbe ottenuto nulla per i greci. Mi ha colpito molto l’ironia di David Riondino su varufacchio, che è la storpiatura del nome di Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze. Insomma, io vorrei che i nostri dirigenti della sinistra fossero più come Tsipras che come varufacchio”.
Pensatela come volete, ma questo è Sergio Staino, un intellettuale italiano, genio della matita e della vignetta folgorante, mai banale e sempre imprevedibile.